[gtranslate] ISTAT, IN ITALIA PIÙ DI UN TERZO DEI 18-64ENNI SI PRENDE CURA DI UN MINORE, DI UN ANZIANI O UN MALATO - WHAT-U

Nel 2018, 12 milioni 746 mila persone tra i 18 e i 64 anni (34,6%) si prendono cura dei figli minori di 15 anni o di parenti malati, disabili o anziani. Tra queste, quasi 650 mila si occupano contemporaneamente sia dei figli minori sia di altri familiari.

Fra i genitori occupati con figli minori di 15 anni il 35,9% delle madri e il 34,6% dei padri lamentano problemi di conciliazione tra il lavoro e la famiglia.

Poco meno di un terzo dei nuclei familiari con figli minori usa i servizi, il 38% conta sull’aiuto di familiari, soprattutto dei nonni, oppure di amici.

Più di un terzo dei 18-64enni ha responsabilità di cura in famiglia 

Nel 2018, sono complessivamente 12 milioni 746 mila le persone tra i 18 e i 64 anni (34,6%) che si prendono cura dei figli minori di 15 anni o di parenti malati, disabili o anziani. Tra queste, i genitori con i figli minori di 15 anni sono oltre 10 milioni e 500 mila, quasi il 29% dei 18-64enni. La quota è maggiore nella fascia di età tra i 35 e i 44 anni (59,9%) e tra gli occupati (33,7%). Nella maggior parte dei casi i figli sono coabitanti, mentre sono 353 mila i genitori (di 18-64anni) che si occupano regolarmente di figli minori di 15 anni non coabitanti (fra questi sono compresi anche coloro che hanno figli sia in casa sia fuori casa). Quest’ultima è una situazione che riguarda più gli uomini delle donne (1,7% rispetto a 0,2%), i 35-54enni (1,5%) e gli attivi (1,2%). Le persone che assistono regolarmente figli o altri parenti di 15 anni e più in quanto malati, disabili o anziani sono oltre 2 milioni e 800 mila (7,7%). È una responsabilità di cura che grava sul 9,4% delle donne di 18-64 anni e sul 5,9% degli uomini. La quota è maggiore tra gli individui di 45-64 anni (12,2%) e tra gli inattivi (9%). Sono quasi 650 mila le persone che si prendono cura contemporaneamente di figli minori di 15 anni (coabitanti e non) e di altri familiari malati, disabili o anziani di 15 anni e più: l’1,9% delle donne di 18-64 anni e il 3% della popolazione nella fascia di età 35-54 anni.

Nei paesi Ue 106 milioni di persone hanno responsabilità di cura

Nel 2018 circa 106 milioni di persone di età compresa tra i 18 e i 64 anni hanno dichiarato di avere responsabilità di cura nell’Ue28 (34,4% della popolazione europea in questa classe di età). L’Irlanda è il paese dove la quota di individui con responsabilità di cura è più alta, quasi il 45% della popolazione. Le percentuali più basse (circa il 28%) sono in Germania e Bulgaria mentre l’Italia, con il 34,6%, risulta allineata con la media europea. Il 28,9% della popolazione europea di 18-64 anni si occupa soltanto di figli con meno di 15 anni, il 4,1% esclusivamente di familiari non autosufficienti di 15 anni e più e, infine, meno del 2% si prende cura sia di figli minori di 15 anni sia di familiari non autosufficienti di 15 anni e più. L’Italia è in linea con la media europea per quanto riguarda la responsabilità di cura nei confronti dei soli figli minori di 15 anni (26,9%). Irlanda e Svezia presentano invece le quote più elevate (rispettivamente 39,2% e 34,3%), in Bulgaria invece questo tipo di responsabilità coinvolge solo poco più di un quinto della popolazione. L’Italia è al quarto posto nell’Ue28 per la percentuale di persone di 18-64 anni coinvolte esclusivamente nella cura di familiari di 15 anni e più non autosufficienti (quasi il 6%), dopo Grecia (8%), Paesi Bassi (7,7%) e Croazia (6,5%).

Meno occupate tra le madri con figli più piccoli

Tra gli occupati, quasi il 40% dei 18-64enni svolge attività di cura. Essere impegnati in un’attività lavorativa e allo stesso tempo doversi occupare di figli piccoli o parenti non autosufficienti comporta una modulazione dei tempi da dedicare al lavoro e alla famiglia che può riflettersi sulla partecipazione degli individui al mercato del lavoro, soprattutto delle donne, le quali hanno un maggiore carico di tali responsabilità. Il tasso di occupazione dei padri di 25-54 anni, classe di età in cui è più alta la presenza in famiglia di figli di 0-14 anni, è l’89,3% mentre per gli uomini senza figli coabitanti è pari all’83,6%. Situazione opposta per le donne, che risultano penalizzate: il tasso di occupazione delle madri di 25-54 anni è al 57%, quello delle donne senza figli coabitanti è al 72,1%. I tassi di occupazione più bassi si registrano tra le madri di bambini in età prescolare: 53% per le donne con figli di 0-2 anni e 55,7% per quelle con figli di 3-5 anni. D’altro canto, la quota di chi resta fuori dal mercato del lavoro è più bassa per i padri rispetto agli uomini senza figli (il tasso di inattività è rispettivamente 5,3% e 9,1%) e più alta invece per le madri (35,7% contro 20,3%). Le diverse dinamiche occupazionali tra madri e donne senza figli sono accentuate a livello territoriale: il divario nel tasso di occupazione è più contenuto al Centro e al Nord (11,2 e 10,4 punti percentuali rispettivamente), mentre nel Mezzogiorno raggiunge i 16 punti percentuali. Nelle regioni meridionali, inoltre, il tasso di occupazione delle madri risulta particolarmente basso (35,9%) mentre al Centro e al Nord si attesta rispettivamente al 65,1% e al 69,4%. Per il lavoro delle madri è cruciale il titolo di studio: è occupato oltre l’80% delle madri con la laurea contro poco più del 34% di quelle con titolo di studio pari o inferiore alla licenza media. Il divario con le donne senza figli scende da 21 punti percentuali se il titolo di studio è basso a 3,7 punti se pari o superiore alla laurea. Il problema dell’assistenza a familiari malati, disabili o anziani bisognosi di cure è reso sempre più rilevante dall’invecchiamento progressivo della popolazione che interessa il nostro Paese. Nella fascia di età tra i 45 e i 64 anni, in sei casi su dieci sono le donne (un milione 343 mila) ad avere questo tipo di responsabilità: tra queste una su due è occupata (49,7%). Dal confronto con le donne che non hanno questo tipo di responsabilità emerge un divario tra i tassi di occupazione pari a quasi 4 punti percentuali, confermato anche a livello territoriale. Il possesso di un titolo di studio pari o superiore alla laurea invece riduce la differenza tra le donne con e senza responsabilità a soli 1,9 punti.

Rispetto a Ue28 in Italia più donne non hanno mai lavorato per occuparsi dei figli

L’interruzione lavorativa per chi è occupato o la mancata partecipazione al mercato del lavoro per motivi legati alla cura dei figli riguardano quasi esclusivamente le donne. Nel 2018, tra le donne da 18 a 64 anni che hanno avuto figli nel corso della vita, le occupate o le ex occupate che hanno interrotto l’attività lavorativa per almeno un mese continuativo allo scopo di prendersi cura dei figli piccoli sono quasi il 50%. La maternità obbligatoria, per chi ha potuto usufruirne, è inclusa in questa fase di interruzione. La percentuale è più alta al Nord (61,6%) e tra le donne con almeno la laurea (71,8%). L’interruzione si riferisce all’intera carriera lavorativa della donna. Un terzo delle donne, pur essendo attualmente occupate o ex-occupate, non ha avuto interruzioni dal lavoro di almeno un mese, la quota nell’Unione europea è del 32,6%. Tuttavia, in alcuni casi tali donne potrebbero avere avuto figli prima o dopo del periodo di lavoro. L’11,1% delle donne con almeno un figlio non ha mai lavorato per prendersi cura dei figli, un valore decisamente superiore alla media europea (3,7%). Nel Mezzogiorno, una donna su cinque con almeno un figlio dichiara di non aver mai lavorato per potersene prendere cura. In questa stessa area del Paese si registra anche la quota più alta di donne che dichiarano di non lavorare per motivi non legati alla cura dei figli (12,1% rispetto al 6,3% della media italiana e al 4,2% della media europea). Le differenze sono evidenti al variare del titolo di studio. Tra le madri con almeno la laurea, sono decisamente più basse le quote di quelle che non hanno mai lavorato in generale e, in particolare, per prendersi cura dei figli, mentre è più elevata la quota di quelle che hanno avuto una interruzione lavorativa.

Difficile conciliare famiglia e professione per più di un occupato su tre

La conciliazione dei tempi di lavoro con quelli di vita familiare risulta difficoltosa per più di un terzo degli occupati (35,1%) con responsabilità di cura nei confronti di figli. Quasi la stessa proporzione di padri e madri di bambini sotto i 15 anni ha dichiarato che c’è almeno un aspetto nell’attuale lavoro che rende difficile conciliare la vita familiare e quella professionale (34,6% e 35,9%, rispettivamente), in particolare quando i figli sono più di uno (36,8% dei genitori) o in età prescolare (37,8%). Lamentano maggiori difficoltà i lavoratori indipendenti (39,4%), chi svolge professioni qualificate (39%), gli addetti al commercio e servizi (39,2%). Tra i genitori occupati in professioni impiegatizie e non qualificate tale quota è del 25%. Il regime orario è un fattore rilevante per la conciliazione dei tempi. I genitori che lavorano full-time hanno più difficoltà rispetto a quelli in part-time (37,6% contro 24,6%), in particolare le madri: il 43,3% delle madri a tempo pieno contro il 24,9% di quelle in part-time. Proprio l’orario di lavoro lungo è indicato come l’ostacolo maggiore da più di un quarto dei genitori che lamentano almeno un problema di conciliazione, quota che raggiunge il 43,2% tra chi in generale ha difficoltà e svolge un lavoro indipendente mentre scende al 20,3% tra i dipendenti. Per i lavoratori indipendenti ulteriori difficoltà derivano da un lavoro troppo impegnativo o faticoso o con programmazione complessa o imprevedibile (circa il 20% tra chi lamenta difficoltà in entrambi i casi); i lavoratori dipendenti, invece, riportano che la conciliazione è resa complicata dal lavoro a turni, in orari pomeridiani e serali o nel fine settimana (19,5%) e dal troppo tempo necessario per raggiungere il posto di lavoro (18,1%). Le difficoltà di conciliazione si fanno più evidenti in presenza di bambini molto piccoli, tra 0 e 5 anni. In particolare, tra le donne con bambini in età prescolare (quasi un milione e 300 mila) la quota di quelle che incontrano ostacoli supera il 39%, arrivando al 46,7% tra quelle che lavorano a tempo pieno. Le madri che lavorano part-time hanno problemi di conciliazione in misura minore (27,5% dei casi). Stessa situazione per i padri, ma con percentuali inferiori: fra loro dichiara di avere un problema di conciliazione il 37%, la quota scende al 25,4% tra quelli in part-time. Ha almeno un problema di conciliazione quasi il 42% di coloro che devono prendersi contemporaneamente cura di figli minori di 15 anni e di familiari non autosufficienti, e il 34,4% di coloro che hanno solo responsabilità di cura verso familiari disabili, malati o anziani.

Le madri più dei padri rimodulano il proprio lavoro per la cura dei figli

Nel 2018, il 22,5% degli occupati con figli di 0-14 anni ha dichiarato di aver apportato un cambiamento nel lavoro attuale  per prendersi cura dei figli (cambiamento o riduzione dell’orario, cambiamento di lavoro o altra modifica). Se padri e madri riportano problemi di conciliazione in ugual misura, sono soprattutto le donne ad aver modificato qualche aspetto della propria attività lavorativa per meglio combinare il lavoro con le esigenze di cura dei figli: il 38,3% delle madri occupate, oltre un milione, ha dichiarato di aver apportato un cambiamento, contro poco più di mezzo milione di padri (11,9%). La quota è più alta tra le occupate residenti al Centro-nord (41%), tra quelle con due o più figli minori di 15 anni (41,2%) o con figli in età prescolare (42,6%). Tra le occupate a tempo parziale cinque su dieci hanno modificato almeno un aspetto del proprio lavoro, contro tre su dieci di chi ha un lavoro a tempo pieno. Anche tra le indipendenti quasi il 50% ha modificato un aspetto del lavoro, contro il 36,5% delle dipendenti. La quota è superiore alla media tra le donne che svolgono una professione qualificata o impiegatizia (42,1% e 43,5% rispettivamente) mentre è leggermente più bassa tra le addette al commercio e servizi (36,8%). Invece, tra le madri operaie oppure occupate in professioni non qualificate solo una su quattro ha modificato aspetti del proprio lavoro. Per i padri la quota di chi ha rivisto il proprio impegno lavorativo è superiore alla media al Centro-nord (12,7%), tra gli indipendenti (18,9%) e tra chi svolge una professione qualificata (18%) mentre al massimo raggiunge il 10% nel Mezzogiorno, tra i dipendenti, gli operai e gli occupati in professioni non qualificate. Le principali modifiche riguardano la riduzione o il cambiamento dell’orario di lavoro. Tra le madri che hanno modificato aspetti del proprio lavoro più di sei su dieci hanno ridotto l’orario e circa due su dieci lo hanno cambiato senza ridurlo. Tra i padri invece, il cambiamento più importante segnalato è la modifica dell’orario (38,3%) più che la sua riduzione (27,2%).

Un terzo dei lavoratori dipendenti con responsabilità di cura ha orario flessibile

La possibilità di modificare l’orario di inizio o di fine della giornata lavorativa e di assentarsi un’intera giornata per motivi familiari senza dover ricorrere a giornate di ferie rappresentano importanti strumenti di conciliazione dei tempi vita-lavoro per i dipendenti con responsabilità di cura. Nel 2018 quasi il 39% dei dipendenti tra i 18 e i 64 anni (6 milioni e 862 mila)  ha dichiarato di occuparsi di figli con meno di 15 anni o di prendersi regolarmente cura di parenti non autosufficienti di 15 anni e più; tra questi un terzo ha affermato di poter modificare l’orario di inizio o fine della giornata lavorativa ogni volta se ne presenti la necessità mentre il 28,4% solo in casi particolari. Sempre per motivi familiari, poco meno di un terzo dei dipendenti (29,5% degli uomini; 33,6% delle donne) ha dichiarato di potersi assentare per un’intera giornata dal lavoro senza ricorrere a ferie e ogniqualvolta se ne presenti la necessità, il 26,3% solo in rare occasioni. La possibilità di variare l’orario di entrata/uscita dal lavoro per motivi familiari, anche se solo in casi particolari, è più frequente per i dipendenti del Centro e del Nord (oltre il 63% per entrambe le aree) mentre nel Mezzogiorno tale quota scende al 57,7%. Il divario territoriale è minore per quanto riguarda la possibilità, anche se limitata, di assentarsi un’intera giornata senza ricorrere a ferie: il 57,3% dei dipendenti del Centro e il 56,7% di quelli del Mezzogiorno, più del 58% dei dipendenti del Nord. Una maggiore flessibilità, di orario o giornaliera, riguarda soprattutto i dipendenti di determinati settori di attività economica: la quota di chi può usufruirne ogni volta se ne presenti la necessità è superiore alla media per i dipendenti dell’amministrazione pubblica e difesa (oraria il 47,4%, giornaliera il 39,2%) o di attività finanziarie e assicurative (oraria 43,1%, giornaliera 39%), molto inferiore invece, per i dipendenti delle costruzioni (24% oraria, 25,2% giornaliera), di alberghi e ristorazione (28% oraria, 27,6% giornaliera), del trasporto e magazzinaggio (29,5% oraria, 26,5% giornaliera) e dell’istruzione, sanità e assistenza sociale (29,9% oraria, 32,1% giornaliera). Inoltre, all’interno di una stessa realtà aziendale, la flessibilità coinvolge alcuni gruppi di individui più di altri, a seconda del ruolo ricoperto. Hanno maggiore flessibilità coloro che svolgono professioni qualificate o impiegatizie (38,7% per quella oraria, 33,9% per la giornaliera), meno operai e lavoratori non qualificati (26,9% oraria e 27,8% giornaliera) e chi è occupato nelle professioni esecutive del commercio e dei servizi (circa il 31% in entrambe le circostanze). In conclusione, nei settori dove l’orario è notoriamente più rigido e non si ha la possibilità di accumulare ore dalle quali attingere per assentarsi anche un’intera giornata senza ricorrere a ferie (tranne che per professioni qualificate o impiegatizie) la quota di dipendenti che hanno la possibilità di ricorrere a strumenti di flessibilità per far fronte alle esigenze di cura risulta più contenuta. Le differenze di genere, laddove più evidenti, all’interno di uno stesso settore sono da imputarsi al tipo di professione svolta, come ad esempio le costruzioni, dove le dipendenti donne sono in larga parte impiegate, mentre gli uomini sono in maggior parte operai.

Servizi pubblici o privati dedicati ai figli per tre nuclei familiari su dieci

Il 31% dei nuclei familiari con figli coabitanti di 0-14 anni si avvale regolarmente per almeno uno dei figli di servizi pubblici o privati, come asili nido, scuole materne, pre o post scuola, ludoteche, baby-sitter o altro. La percentuale è più alta al Nord (34,5%) e al Centro (33,3%), più bassa nel Mezzogiorno (24,9%). All’aiuto per la cura fornito regolarmente da parenti o amici ricorre il 38% dei nuclei familiari con figli di 0-14enni, in nove casi su dieci a dare il supporto sono i nonni (34,4%). Più bassa la percentuale tra i nuclei familiari del Mezzogiorno (33,0%), rispetto a quelli del Centro-nord (circa il 40%), per la minore presenza di famiglie in cui la donna è occupata. L’utilizzo dei servizi da parte delle famiglie e il ricorso all’aiuto informale sono, infatti, legati alla condizione occupazionale della donna e all’età dei figli. Ricorre all’uso dei servizi quasi il 38% dei nuclei familiari in cui entrambi i partner sono occupati, e nel 24,6% dei casi l’utilizzo dei servizi è affiancato al supporto dato da parenti o amici. Se è solo l’uomo a essere occupato, invece, il ricorso ai servizi per almeno un figlio riguarda circa il 26% delle coppie e solamente l’8,4% si avvale anche del supporto di parenti o amici. Il ricorso esclusivo all’aiuto di parenti o amici, riguarda perlopiù il monogenitore occupato (33,9%) (in più dell’85% dei casi si tratta di donne) e le coppie di occupati (27,3%). La presenza in famiglia di figli in età prescolare comporta un maggior ricorso ai servizi, nella quasi totalità dei casi si tratta dell’utilizzo di asili nido o di scuole materne. Oltre la metà dei nuclei familiari con figlio tra 0 e 5 anni utilizza almeno un servizio (53,3%) e la quota sale al 63,7% nel caso di coppie in cui entrambi i genitori sono occupati. Le quote sono più alte al Centro-nord (circa il 58%) rispetto al Mezzogiorno (44,5%). Circa il 6% delle famiglie con figli tra 0 e 14 anni usa il pre o il post scuola; di più al Nord, dove supera l’8%, rispetto al resto del territorio. Ricorre abitualmente alla baby-sitter poco meno del 3% dei nuclei familiari con figli tra 0 e 14 anni, nel caso delle coppie in cui entrambi i genitori sono occupati la quota si avvicina al 5%. I nuclei familiari dove non ci si avvale di servizi né dell’aiuto di familiari sono il 48%, tra questi il 37%  dichiara di occuparsi da soli e/o con il partner della cura dei figli e, in poco più del 10% dei casi, di avere figli che non hanno bisogno di servizi perché autosufficienti.

Nel Mezzogiorno meno di tre lavoratrici su dieci usano i servizi per i figli

Fra le occupate con figli di 0-14 anni (oltre 3 milioni di donne), più della metà affida regolarmente i figli a parenti o altre persone non pagate, nel 46,7% dei casi li affidano ai nonni, il 36% utilizza invece abitualmente i servizi per la cura dei figli. Le lavoratrici del Mezzogiorno ricorrono meno ai servizi rispetto a quelle del Centro-nord (29,7% rispetto al 35,9% del Centro e al 38,5% del Nord). Le differenze diventano più marcate se si considerano le donne con figli tra 0 e 5 anni (usano i servizi poco più del 54% delle occupate nel Mezzogiorno, rispetto a quasi il 65% del Centro-nord). Le donne che lavorano a tempo pieno ricorrono di più sia ai servizi (37,8%) sia all’aiuto di persone e parenti non pagati (54,3%) rispetto a quelle che lavorano part-time. Le differenze tra le occupate per regime orario sono più evidenti quando i figli frequentano la scuola dell’obbligo mentre i servizi per i più piccoli, come asili nido e scuola materna, sono utilizzati dalla stessa quota di occupate, sia in part-time sia a tempo pieno. Il ricorso ad altri tipi di servizi complementari alla scuola dell’obbligo (come pre o post scuola, ludoteca e baby-sitter), sono di supporto soprattutto alle madri occupate a tempo pieno. Più del 40% delle donne che svolgono professioni qualificate utilizzano i servizi per i figli di 0-14 anni; la quota scende sotto il 30% per operaie e lavoratrici non qualificate.

Troppo cari i servizi per le madri che ne avrebbero bisogno

Tra le madri di figli di 0-14 anni che dichiarano di non utilizzare i servizi circa il 15% ne avrebbe bisogno; tale quota sale al 23,2% per chi ha figli tra 0 e 5 anni, a 19,1% tra le non occupate e al 17,5% per le residenti nel Mezzogiorno. Le motivazioni per le quali non si ricorre all’utilizzo dei servizi sono perché troppo costosi (9,6%) oppure assenti o senza posti disponibili (4,4%). In particolare, lamentano costi troppo alti le madri con figli di 0-5 anni (15,6%) e le non occupate (12,9%), le quote più alte per la mancanza dei servizi sono sempre tra le madri di figli in età prescolare (6%) e le residenti nel Mezzogiorno (5,5%).


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