[gtranslate] LA STRAGE A STECCATO DI CUTRO, È STATO UN INCIDENTE "NON RIUSCIRE A SALVARE" - WHAT-U

Sono tra 27 e 47 le persone ancora disperse del naufragio avvenuto domenica a Steccato di Cutro. Questo è quanto emerso nell’ultima riunione del Centro coordinamento soccorsi aperta in Prefettura a Crotone sulla base delle stime delle forze dell’ordine.

 Le ricerche, coordinate dalla Direzione marittima di Reggio Calabria, proseguiranno ad oltranza per tutto il fine settimana con mezzi aerei, navali, nucleo di sommozzatori e con il personale a terra di Guardia costiera, Questura, carabinieri, Guardia di finanza, Vigili del fuoco e Protezione civile. Le condizioni meteo, in peggioramento, potrebbero rendere difficoltose le ricerche. “Le regole di ingaggio le determina l’Europa e sono uguali per tutti i salvataggi. Bisogna sempre fare luce e fare indagini interne su qualsiasi cosa. Ma nessuno ha detto di non soccorrere persone in mare. Io in montagna ho salvato delle persone, mentre c’è chi parla sui giornali e che in vita sua non è andato mai a salvare nessuno”. Così il vice ministro delle Infrastrutture, Edoardo Rixi rispondendo ai cronisti sulla strage di migranti a Cutro, a margine di un convegno a Palermo. “Nessuno tocchi la Guardia costiera perché metteremmo in discussione un corpo che è ammirato a livello mondiale e vorrei venisse ammirato anche da questo Paese”, ha ribadito Rixi. “Anche se un politico avesse detto di fare cose che non dovevano fare”, aggiunge il viceministro, “loro avrebbero continuato a fare il proprio dovere, come hanno sempre fatto sotto qualsiasi governo. Per quanto riguarda questo episodio ovviamente abbiamo chiesto chiarezza e stiamo visionando tutti i resoconti. Però una cosa è parlare a livello politico, un’altra è accusare corpi dello Stato di non fare il proprio dovere. Frontex ha fatto una segnalazione per una barca che non conteneva migranti e ha detto che il rilevamento termico poteva consentire di avere persone sottocoperta – osserva il viceministro – E’ stata mandata la Guardia di finanza su una operazione di polizia e non di salvataggio perché la barca non aveva problemi. Ha avuto problemi nel momento in cui si è avvicinata alla riva e ha preso una secca. In quel momento sono scattate le operazioni di soccorso secondo la segnalazione. Dall’inizio dell’anno abbiamo salvato più gente di tutte le altre nazioni del Mediterraneo messe insieme. Anche su questa situazione, la Grecia non è intervenuta per 4 giorni. Le segnalazioni sono state fatte, così come sono state fatte all’Italia e l’Italia ha provato a intervenire” ha aggiunto Rixi riferendosi alle parole del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi subito dopo il naufragio che hanno sollevato polemiche. Rixi ha aggiunto che il ministro Piantedosi gode “della massima fiducia. Lui è un prefetto e parla da prefetto, se fosse un politico parlerebbe da politico”. 

“Questa è una tragedia: non rispondo a chi vuole meschinamente strumentalizzarla a fini politici – ha detto all’ANSA Giuseppe Conte, rispondendo alla domanda se durante i suoi governi abbia cambiato le regole di ingaggio per i salvataggi in mare dei migranti nel senso restrittivo -. Il regolamento delle Capitanerie di porto sui soccorsi in mare redatto durante il mio governo Conte 2 parla chiaro: le persone in mare vanno salvate”. Conte è tornato sulla tragedia di Crotone: “Su questo disastro ci aspettiamo che intervenga Meloni a fare chiarezza sulle responsabilità dei ministri. Devono spiegare perché quelle persone non sono state salvate”.

L’obbligo di salvare la vita in mare costituisce un preciso obbligo degli Stati e prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare. La ricostruzione dei fatti e la qualificazione delle responsabilità dei diversi attori coinvolti nelle attività di ricerca e salvataggio (Sar) nelle acque internazionali del Mediterraneo Centrale deve tenere conto dei rilevanti profili di diritto dell’Unione europea e di diritto internazionale che, in base all’art. 117 della Costituzione italiana, assumono rilievo nell’ordinamento giuridico interno. Le scelte politiche non possono ridurre la portata degli obblighi degli Stati che devono garantire nel modo più sollecito il soccorso e lo sbarco in un luogo sicuro (place of safety). Eventuali intese operative tra le autorità di Stati diversi, o la paventata “chiusura” dei porti italiani, non possono consentire deroghe al principio di non respingimento in Paesi non sicuri affermato dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra.

Molte Ong hanno ritirato le loro navi anche per l’incerto quadro giuridico nel quale si svolgevano le attività di ricerca e salvataggio, a seguito dell’adozione di un Codice di condotta, elaborato dalla Direzione generale frontiere del Ministero dell’interno, che le diverse Ong hanno dovuto accettare nel tempo. Da undici assetti navali riferibili alle Ong nel 2016 si è scesi alle attuali quattro imbarcazioni ancora impegnate in attività Sar nelle acque del Mediterraneo centrale. La nave Juventa della Ong Jugend Rettet è sotto sequestro a Trapani dal mese di agosto dello scorso anno, e la Open Arms ha ritirato il suo mezzo più grande di soccorso, dopo il sequestro preventivo avvenuto il 17 aprile a Pozzallo in provincia di Ragusa. Da allora la Centrale operativa della Guardia costiera italiana (Mrcc) ha variato continuamente le modalità di coordinamento delle attività Sar in acque internazionali, cercando di favorire in tutti i modi l’intervento delle motovedette libiche. Ora le chiamate di soccorso non provengono più dai gommoni o da parenti dei migranti già presenti in Europa, come avveniva in passato, a partire dai tempi dell’Operazione Mare Nostrum. Oggi gli interventi di salvataggio avvengono dopo avvistamenti effettuati da mezzi aerei della Marina militare o dell’Operazione Sophia di Eunavfor Med, quindi viene allertata la Centrale operativa della Guardia costiera italiana (Imrcc), che immediatamente individua i mezzi che sono nelle condizioni di fornire i soccorsi più immediati, spesso le poche navi residue delle Ong. Nelle prime ore delle attività di soccorso le navi delle Ong vengono utilizzate per mettere in sicurezza le imbarcazioni cariche di migranti, magari con la consegna dei salvagente, di cui sono sprovviste le unità libiche. Si tenta quindi di trasferire la responsabilità delle attività Sar alla Guardia costiera libica, contattata sia dalla Centrale Imrcc che da una nave militare della missione italiana Nauras (nell’ambito dell’Operazione Mare Sicuro) presente nel porto di Tripoli. Ma si può legittimamente dubitare che in questo modo le autorità italiane possano liberarsi dagli obblighi di salvataggio imposti dal diritto internazionale.

Dal mese di marzo di quest’anno è stata adottata la prassi di richiedere allo stato di bandiera la indicazione del Pos (Place of safety) dove sbarcare i migranti dopo il soccorso in mare, con una ulteriore dilatazione dei tempi di sbarco di persone già duramente provate prima della partenza e poi dalla navigazione su gommoni o imbarcazioni fatiscenti privi di qualunque protezione e dotazione igienica o di sicurezza. Una situazione che qualifica come “distress” immediato la condizione di qualunque barcone carico di migranti che si trovi in acque internazionali. La risposta delle autorità inglesi, in una recente occasione che ha visto il coinvolgimento della nave Aquarius della Ong Sos Mediterraneè, seguita da un duro comunicato della Commissione europea, ha chiarito che in queste operazioni di soccorso non ci possono essere tempi morti per ricercare la responsabilità di concludere le operazioni di sbarco nei paesi di bandiera o in altri da loro indicati.

Dopo questa ennesima battuta di arresto, derivante dalla smentita a livello internazionale del Codice di condotta imposto alle Ong, la Centrale operativa della Guardia costiera italiana (Imrcc), in coordinamento con il Ministero dell’interno, ha ordinato alle navi delle Ong, non appena completate le prime attività di soccorso, anche con un numero esiguo di naufraghi a bordo, di fare rotta verso un porto italiano, senza restare in zona per altri salvataggi, ottenendo così il risultato di lasciare campo libero alle motovedette partite dalle coste libiche. Anche questa volta però qualcosa è andato storto.


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