
«Oggi l’umanità deve nuovamente scegliere tra pace e guerra, dialogo e scontro», questo il commento più significativo del leader cinese Xi Jinping durante la parata militare organizzata il 3 settembre a Pechino per commemorare l’80esimo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale e dell’occupazione giapponese della Cina. Protagonisti dell’evento gli armamenti che la Cina ha voluto mettere ben in mostra, alla presenza del premier russo Vladimir Putin e del nord coreano Kim Jong Un, una triade che per molti rappresenta il nuovo ordine mondiale che già ha iniziato a diventare sempre più evidente nei giorni scorsi al summit Shanghai Cooperation Organization (Sco) tenutosi a Tianjin, Cina. Grandi assenti alla parata (ma presenti al summit) il premier indiano Narendra Modi, ed anche il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che però insieme a Modi ha preso parte al summit Sco. Secondo fonti locali alla parata erano presenti gli alti rappresentanti di Bielorussia, Pakistan, Vietnam, Iran, Zimbabwe, Myanmar, Mongolia, Uzbekistan, Malesia, Maldive, Nepal, Indonesia, Congo, Cambogia, Cuba, Laos, Kazakistan, Tagikistan, Kirkigistan, Turkemistan, Abzerbajan, Armenia. L’elenco conferma che la maggior parte dei partecipanti proveniva da Paesi con legami strategici o economici con la Cina, in particolare dall’Asia centrale e sud-orientale, e da alcune Nazioni africane e sud-americane. L’assenza di quasi tutti i leader occidentali di alto profilo invece ha sottolineato la natura geopolitica dell’evento come una dimostrazione di forza e di alleanze in contrapposizione all’Occidente.
Un messaggio forte e chiaro arrivato, come abbiamo visto noi tutti comuni mortali, dagli schermi televisivi che ovviamente ha innescato l’immediata reazione di Trump che su Thruth, ha accusato Vladimir Putin e Kim Jong-un di essere in Cina a «cospirare contro l’America». Ovviamente anche la sontuosità dell’incontro non è passata inosservata Bisogna tornare al 1959 per la presenza contemporanea di un presidente sovietico e nordcoreano a una parata militare cinese. Si era in piena guerra fredda e i protagonisti di allora erano Mao Zedong, Nikita Kruscev e Kim Il-sung, nonno dell’attuale guida suprema, giunto a Pechino insieme alla figlia 13enne Ju-ae, sua potenziale erede.
Le immagini parlano chiaro. Mentre camminano nella piazza, Xi è al centro con Putin a destra e Kim a sinistra. L’immagine che tutti aspettavano, ma che non verrà replicata visto che nel corso della giornata non si è svolto alcun trilaterale ufficiale. GIUNTI SUL PODIO, i leader rendono omaggio a un gruppo di anziani veterani della guerra, tra cui uno del Guomindang, il partito nazionalista ripiegato a Taiwan dopo la sconfitta nella guerra civile e che giocò un ruolo cruciale nel conflitto. Sul podio anche diversi ex alti ufficiali del Partito comunista, tra cui non c’è però Hu Jintao, il predecessore di Xi. Il premier Li Qiang dichiara aperta la cerimonia. Sparano i colpi di cannone, poi una gigantesca orchestra militare inizia a suonare, coadiuvata da uno sterminato coro vestito di bianco. La diretta della televisione di stato cinese indugia sull’immagine di Xi e Kim che conversano fitti, seduti ai loro posti. Poi il presidente cinese prende il palcoscenico.
«Solo trattandosi reciprocamente come pari, vivendo in armonia e sostenendosi a vicenda, tutti i paesi possono mantenere la sicurezza comune, eliminare le cause profonde della guerra e impedire il ripetersi di tragedie storiche», dichiara. «Il popolo cinese è dalla parte giusta della storia e la Cina è una grande nazione che non si lascerà intimidire da nessun bullo», chiaro riferimento a quella che Xi definisce «mentalità da guerra fredda» degli Stati uniti. In chiusura, Xi sottolinea che «il grande rinnovamento della Cina è un trend inarrestabile», obiettivo storico fissato dal Partito comunista in vista del centenario del 2049 della fondazione della Repubblica Popolare Cinese. Obiettivo di cui fa parte la “riunificazione” di Taiwan, comunque non menzionata esplicitamente. Subito dopo Xi scende sulla piazza per passare in rassegna le truppe. Nella parata sono coinvolti oltre 10mila soldati e centinaia di mezzi di produzione autoctona. «Un esercito di livello mondiale», come desiderio del leader, davanti a cui sfilano le nuove armi entrate in servizio operativo. Tra queste diversi missili balistici intercontinentali e a medio raggio, tra cui il cosiddetto “Guam Killer”, chiamato così perché funzionale a colpire le basi militari americane nel Pacifico. Poi lanciarazzi multipli collegati al sistema satellitare cinese BeiDou, i nuovi missili antinave a volo combinato e carri armati utilizzabili in terreni ad alta quota. Ma anche i droni stealth da combattimento e “cani” robot d’assalto. Non ci sono truppe straniere, nemmeno russe. Nel 2015, per la parata del 70° anniversario, c’erano soldati di 17 paesi. Ma ora la potenza di fuoco nazionale è diventata un orgoglio da mostrare da sola. Nel pomeriggio Putin e Kim hanno tenuto un bilaterale. «Abbiamo il dovere di aiutare la Russia, faremo tutto il possibile», dice uno. «Non dimenticheremo i sacrifici dei soldati nordcoreani, combattiamo insieme contro il nazismo moderno», risponde l’altro. Da non trascurare la stretta di mano tra Kim e Woo Won-shik, presidente del parlamento della Corea del sud. I due si sono scambiati solo un rapido saluto, ma si tratta comunque del contatto più significativo degli ultimi sei anni tra le due Coree. Rilevante che sia avvenuto pochi giorni dopo che Trump ha detto al presidente sudcoreano Lee Jae-myung di voler incontrare Kim.Forse una prima, timida, apertura al dialogo. Passando però prima da Xi, che con la sfilza di eventi presieduti in questi giorni manifesta la sua centralità globale.
Pace tra Russia e Ucraina sempre più lontana
È difficile intravvedere un tentativo negoziale di pace tra Russia e Ucraina. Anche se il leader di Washington Donald Trump ci ha abituati all’improvvisazione, ai colpi di scena, l’incontro tra lui e Putin in Alaska, pare non riservi alcuna sorpresa. Nei giorni scorsi il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov, ha messo in discussione i presunti progressi registrati durante il vertice in Alaska e pochi giorni fa è stato lo stesso presidente statunitense a sferrare alcuni colpi ben assestati contro il tenue spiraglio che sembrava essersi aperto per avviare un processo di pace sul fronte ucraino. Fonti vicine all’amministrazione a stelle e strisce hanno infatti riferito alla stampa che l’inquilino della Casa Bianca per il momento ha intenzione di farsi da parte nel dialogo fra Kiev e Mosca, lasciando che siano i due capi di stato dei paesi belligeranti a mettersi d’accordo per un eventuale incontro. COME A DIRE, assumendo una postura di blando paternalismo: ora il mio compito è finito, vediamo di cosa siete capaci voi. Ma, se pure la mossa potrebbe avere un minimo di senso tattico, Trump sui social sceglie poi di rendere il tutto ancora più confuso: paragonando la guerra a un confronto sportivo, sul suo profilo Truth il presidente Usa rimprovera il predecessore Joe Biden per «non aver consentito all’Ucraina di attaccare la Russia, ma solo di difendersi». A ogni modo gli sviluppi non paiono impensierire Mosca, anzi. Durante la conferenza stampa che seguiva la visita di diplomatici indiani, Lavrov è tornato sul tema di una possibile cessazione delle ostilità ribadendo che «qualsiasi dispiegamento di truppe straniere sul suolo ucraino è inaccettabile». Secondo il funzionario russo, sono i paesi europei a portare avanti delle iniziative unilaterali che minano i tentativi di arrivare alla pace, così generosamente promossi dall’amministrazione statunitense. Insomma, le posizioni del Cremlino – suggerisce sempre Lavrov – sono le stesse di tre anni fa, quando a pochi mesi dall’inizio dell’invasione delegazioni dei due belligeranti si incontravano a Istanbul, Turchia: riconoscimento delle conquiste territoriali (e magari qualcosa in più), Kiev neutrale e fuori dalla Nato, ma soprattutto un diritto di veto russo su qualsivoglia meccanismo di difesa dell’Ucraina in caso di attacco esterno.
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