ITALIA, MELONI PUNTA AL RILANCIO DEL PIANO MATTEI - WHAT-U

Su iniziativa del Governo italiano, oggi si sono riuniti a Roma, presso il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, i leader di quasi tutti gli Stati della sponda Sud del Mediterraneo allargato, del Medio Oriente e del Golfo, gli Stati Ue di primo approdo e alcuni partner del Sahel e del Corno d’Africa, i vertici delle Istituzioni europee e delle Istituzioni finanziarie internazionali per la ‘Conferenza internazionale su sviluppo e migrazioni’, l’evento organizzato nel palazzo della Farnesina che si pone l’obiettivo di “avviare un percorso internazionale per attuare misure concrete per la crescita e lo sviluppo del Mediterraneo allargato e l’Africa”. “Questo è il primo passo verso l’elaborazione di quel Piano Mattei che l’Italia illustrerà a novembre in occasione della Conferenza Italia-Africa”, spiegano fonti diplomatiche. Un disegno rilanciato a più riprese dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal ministro degli Esteri e vice premier Antonio Tajani.

Obiettivi della Conferenza

Avviare un percorso internazionale per attuare misure concrete per la crescita e lo sviluppo del Mediterraneo allargato e l’Africa; affrontare le cause profonde dei flussi irregolari per sconfiggere l’attività criminale dei trafficanti di esseri umani; individuare soluzioni a tutela dell’ambiente cogliendo le sfide della diversificazione energetica e del cambiamento climatico. Si tratta di un’iniziativa di politica estera dove l’Italia esercita il suo ruolo centrale nel Mediterraneo allargato con il fine di dare avvio a un percorso pluriennale, con impegni concreti e verificabili da parte degli Stati partecipanti sui temi dello sviluppo e delle migrazioni. Un ulteriore passaggio dell’azione diplomatica a tutto campo del Governo Meloni per affrontare le emergenze secondo un approccio integrato che punta a costruire un partenariato tra pari, multidimensionale e di lungo periodo, fondato sulla solidarietà fra le Nazioni, sul rispetto della loro sovranità e sulla condivisione delle responsabilità. La Conferenza mira a governare il fenomeno migratorio, contrastare il traffico di esseri umani e promuovere lo sviluppo economico secondo un nuovo modello di collaborazione fra Stati, attraverso la pianificazione e la realizzazione congiunta di iniziative e progetti in sei settori principali: agricoltura; energia; infrastrutture; educazione-formazione; sanità; acqua e igiene.  

Cos’è il piano Mattei

Nel concreto il piano, ispirato al fondatore dell’Eni Enrico Mattei, prevede l’impegno dell’Italia nello stringere una serie di accordi con i Paesi del continente africano, incentrati principalmente sull’energia. Mattei deputato della DC dal 1948 al 1953 riuscì a evitare investimenti in compagnie estere e a favorire l’autonomia energetica del paese, finanziando ricerche di gas e petrolio. Sotto la sua presidenza, l’ENI negoziò rilevanti concessioni petrolifere in Medio Oriente e un importante accordo commerciale con l’Unione Sovietica. Queste iniziative contribuirono a rompere l’oligopolio delle Sette sorelle, che allora dominavano l’industria petrolifera mondiale. Mattei introdusse inoltre il principio per il quale i Paesi proprietari delle riserve dovevano ricevere il 75% dei profitti derivanti dallo sfruttamento dei giacimenti.

Sette sorelle fu una locuzione coniata da Enrico Mattei dopo la nomina a commissario liquidatore dell’AGIP nel 1945, per indicare le compagnie petrolifere mondiali che formavano il cartello Consorzio per l’Iran e che dominarono per fatturato la produzione petrolifera mondiale dagli anni 1940 sino alla crisi del 1973. La gestione della politica energetica iniziava, sotto il segno di Mattei, un periodo di autonomia nazionale e di competizione all’estero, ponendo l’Italia fuori delle logiche del cartello economico, accusato di svenare le risorse del Terzo mondo. La nascita delle sette sorelle può essere fatta risalire alla firma degli Accordi di Achnacarry siglati il 17 settembre 1928 presso il Castello di Achnacarry, in Scozia, tra i rappresentanti delle compagnie petrolifere  Henry Deterding, direttore generale della Royal Dutch Shell, Walter C. Teagle, rappresentante della Standard Oil of New Jersey (ora Exxon), e Sir John Cadman, dirigente della Anglo-Persian Oil Company (successivamente British Petroleum). A queste tre compagnie poi se ne aggiunsero altre quattro: Mobil, Chevron, Gulf e Texaco.

Cosa accadde

Nel 1951 il Primo Ministro iraniano Mohammad Mossadeq nazionalizzò l’industria petrolifera togliendo di fatto il controllo agli inglesi della APOC/BP della Anglo-Iranian Oil Company e delle raffinerie della città di Abadan. Mohammad Mossadeq  intendeva recuperare la sovranità sulla più importante risorsa naturale del Paese. La AIOC sfruttava il petrolio iraniano sulla base di una concessione rilasciata nel 1908 e rinnovata nel 1933, considerata iniqua dagli iraniani, che lamentavano anche le misere condizioni di lavoro del personale persiano dell’AIOC . Il Regno Unito rispose molto duramente sostenendo che la nazionalizzazione era illegale secondo il diritto internazionale e ricorse al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ed alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja, che finirono tuttavia per riconoscere il diritto di Teheran ad agire. Al contempo, l’Inghilterra intraprese un’intensa attività diplomatica che portò presto ad un boicottaggio mondiale del petrolio iraniano. I britannici ostacolarono il commercio estero e gli affari dell’Iran, esercitando contemporaneamente una pressione diplomatica sui loro alleati affinché facessero lo stesso. Gli USA, su richiesta britannica, rifiutarono di prestare denaro all’Iran fino alla risoluzione della disputa sul petrolio, mentre intraprendevano una loro azione per rafforzare l’embargo. Mossadeq rispose con l’espulsione dei tecnici inglesi da Abadan prima (ottobre 1951) e con la rottura dei rapporti diplomatici con Londra poi (ottobre 1952). Gli inglesi pensarono anche ad un possibile intervento militare, ma furono bloccati dagli Stati Uniti che temevano un possibile intervento sovietico in base all’accordo di amicizia russo-persiano del 1921 ed il rischio dell’apertura di un nuovo fronte mentre erano impegnati nella guerra di Corea. Washington sollecitò a lungo affinché Iran ed Inghilterra trovassero un accordo di compromesso per la ripresa delle esportazioni petrolifere. Nonostante i successi diplomatici all’ONU ed all’Aja, a causa del blocco delle esportazioni di petrolio, l’Iran sperimentava infatti una grave crisi economica e politica e gli USA temevano che ciò aprisse la porta alla penetrazione sovietica.

Mossadeq alle Nazioni Unite

Dopo aver destabilizzato l’economia iraniana, i britannici decisero di operare un colpo di Stato per rimuovere il nazionalista Mohammad Mossadeq dal governo e sostituirlo con un governo amico sostenuto dallo scià. La rottura delle relazioni diplomatiche rese tuttavia impossibile il prosieguo dell’operazione ed i servizi segreti britannici chiesero allora la collaborazione della Central Intelligence Agency. Dopo aver inutilmente tentato la via della ricerca di una soluzione di compromesso, con il cambio di amministrazione tra i presidenti Truman ed Eisenhower gli Stati Uniti decisero di appoggiare il piano inglese e di gestire direttamente l’operazione. L’azione, nota come operazione Ajax, ebbe luogo nell’estate del 1953. Dopo la deposizione di Mohammad Mossadeq, per far tornare il petrolio iraniano sui mercati gli Stati Uniti costituirono il Consorzio per l’Iran, composto dalle sette principali compagnie petrolifere del tempo. Il Consorzio acquistava il petrolio dall’ente petrolifero nazionale iraniano NIOC in regime di monopolio e lo rivendeva sui mercati al netto delle spese per il risarcimento della nazionalizzazione della BP. Mattei chiese che anche l’Agip potesse far parte del Consorzio per l’Iran, ma la sua richiesta fu respinta.


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