di Felipe Fernández
«Oggi il Venezuela sorride, un sorriso che nasce dalla speranza che riusciremo a cambiare il paese», ha detto Juan Guaidò, il presidente del Parlamento venezuelano che ha assunto i poteri dell’Esecutivo, alle migliaia di venezuelani giunti per manifestargli il loro appoggio, sulla principale arteria Las Mercedes, a Caracas. Una folla compatta, che si è infoltita di ora in ora, hanno raccontato le cronache locali, mentre sui social si moltiplicano foto e video pubblicati dai manifestanti. Altre concentrazioni si segnalano anche in molte altre città del Paese.
Maduro non vuole mollare. Ieri davanti alla sua gente (perlopiù tanti nostalgici chavisti) riunita in una contro manifestazione, ha detto che il colpo di “stato è fallito”. In realtà anche le forze armate non sono più dalla sua parte e hanno iniziato a prendere le distanze dall’ex capo di Stato.
Nelle ultime due settimane, gli Stati Uniti, con il sostegno di diversi paesi dell’America Latina, hanno riconosciuto il governo di Juan Guaidó, il presidente dell’Assemblea nazionale del Venezuela, e gli hanno riconosciuto il controllo del Paese (e pure delle entrate petrolifere) per mettere sempre più alle strette Maduro e costringerlo alla ritirata.
Gli Stati Uniti con grande spavalderia dicono che tutto finirà presto anticipando come se fosse già vero, che il signor Maduro se ne andrà presto e le sanzioni verranno cancellate.
I rischi di queste ipotesi stanno proprio nel fatto che nessuno, nemmeno gli Stati Uniti, hanno il potere di dare per certo nulla prima che accada e quindi non è detto che i militari siano sul punto di voltare le spalle a Maduro. Vero è che il Venezuela per i suoi preziosi pozzi di petrolio, interessa a molti, non solo agli Usa anche se al momento Cina, Cuba e Russia pare non abbiano interesse, volontà e mezzi per sostenere il loro alleato.
Il New York Times scrive che secondo le stime dell’amministrazione Trump, le sanzioni arrecheranno all’economia venezuelana 11 miliardi di dollari di ricavi petroliferi persi nel prossimo anno , pari al 94% di quello che il paese ha speso l’anno scorso nelle importazioni di beni. Il risultato sarà probabilmente una catastrofe economica e umanitaria di una dimensione mai vista nel nostro emisfero.
La notizia più certa di tutte sembra quella che tutti volevano scongiurare. Ossia che la violenza civile stia per esplodere.
La spirale di violenza e caos potrebbe iniziare imminentemente. Al momento tutti (eccetto Trump che come è noto non predilige le soluzioni conciliatorie, soprattutto quando ci sono in ballo significativi interessi economici per il suo Paese) sperano in una transizione di potere pacifica e negoziata.
Quali le soluzioni? Innanzitutto i proventi della compagnia petrolifera statale Petróleos de Venezuela dovrebbero essere messi immediatamente a disposizione del popolo venezuelano per l’acquisto di cibo e medicine. Come? Creando un comitato neutro, che abbia il sostegno delle Nazioni Unite .
Poi occorrerebbe far cessare l’inflazione. Il responsabile per l’Emisfero Occidentale del Fondo Monetario Internazionale Alejandro Werner, i giorni scorsi ha divulgato l’ultima previsione dell’istituto, secondo cui Caracas ha oltrepassato la quota dei 2.000.000% di inflazione.
Ultimo, ma non meno importante, è trovare al più presto un accordo la nomina di nuove autorità elettorali indipendenti, che avrebbero il compito di ricostruire le istituzioni elettorali del paese al fine di rendere possibile un’elezione libera ed equa.
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