[gtranslate] LA MORTE DI DI MARE FA RIEMERGERE LA PERICOLOSITÀ DELL'AMIANTO. L'AVVOCATO BONANNI NE SPIEGA LE RAGIONI NELLA SUA INTERVISTA A WHAT-U - WHAT-U

Franco Di Mare, 68 anni, giornalista Rai, inviato in zone di guerra che gli sono costate una malattia che non lascia scampo, il mesotelioma, causata dall’eccessiva esposizione all’amianto, non ce l’ha fatta a festeggiare il suo 69esimo compleanno e il 17 maggio è morto a Roma nell’appartamento vicino agli studi di Saxa Rubra della Rai nei quali, fino poco tempo fa, aveva lavorato. Il 28 aprile il giornalista, ospite di Fabio Fazio a Che Tempo Che Fa sul Nove, aveva parlato della sua malattia: “Ho un tumore che si chiama mesotelioma: si prende respirando le particelle di amianto…. Il 28 luglio compirò 69 anni, ma non so se ci arrivo, forse sì. Sono sereno, non ho paura. Mi spaventa l’idea della sofferenza però sono andato a una dozzina di funerali di colleghi più giovani di me”. Poi la decisione quando ha compreso che la morte era vicina di rinunciare alla camera ardente e optare solo per i funerali (lunedì 20 maggio alle ore 14 alla chiesa degli Artisti). E quella di sposarsi due giorni prima della sua scomparsa, il 15 maggio, con la 33enne Giulia Berdini, sua compagna da ben 8 anni, di cui non si sa molto, a parte quello che pubblica genericamente su Instagram, dove ha 40mila follower, e sfoga la sua passione per la moda.  Inutile dire che la morte del giornalista ha reso purtroppo ancora una volta attuale il tema della pericolosità dell’amianto che da anni impegna l’Avv. Ezio Bonanni, Presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto e dell’Osservatorio Vittime del Dovere, in una strenua lotta contro l’uso di questo materiale. Bonanni collabora, fin dal 2008, con il Centro Studi del Diritto dei Lavori (Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Aldo Moro, di Bari). Inoltre è componente del Comitato di Redazione di questa rivista, che annovera i più importanti studiosi di diritto del lavoro. Il Centro Studi ha avuto origine per iniziativa del Prof. Gino Giugni, indimenticato padre dello Statuto dei lavoratori. L’a storia ‘evoluzione dell’amianto nel mondo del lavoro è un vero e proprio reportage di una storia ormai millenaria che ripropone la diuturna battaglia dei medici del lavoro. Questi ultimi, già dall’inizio del ‘900, avevano affermato che l’amianto era dannoso per la salute. Ne erano stati intuiti gli effetti fibrogeni e cancerogeni. Purtroppo però ancora oggi, in Italia, si continua a morire di amianto. Lo confermano i dati dell’Osservatorio Nazionale Amianto (ONA), secondo cui nel 2023 si sono registrati 7mila decessi per malattie legate all’asbesto e si contano 10mila nuovi malati. Per saperne di più riguardo la continua epidemia di malattie abbiamo intervistato l’avv. Bonanni, ecco cosa ci ha raccontato.  

Con la legge n. 257 del 1992 l’Italia ha messo al bando l’amianto, stabilendo una serie di misure per la cessazione dell’utilizzo di questa sostanza, per il suo smaltimento controllato e per l’assistenza ai lavoratori esposti. La norma impone anche il divieto di estrazione, importazione, esportazione e produzione di asbesto, classificato come cancerogeno nel 1973. Purtroppo però a distanza di oltre trent’anni è stato rimosso appena il 25% dell’asbesto: il che significa che, seguendo questo ritmo, per liberarci completamente di questo materiale serviranno altri 75 anni….Quali le falle? Quali le possibili soluzioni… 

«Effettivamente, sussiste un ritardo della bonifica. Ciò è dovuto all’assenza di mappatura, alla scarsità di consapevolezza e alla presa di coscienza del rischio cancerogeno. Infine, anche a causa della tortuosa burocrazia e dei costi eccessivi. Ad oggi, la mancata presa di coscienza dell’effettiva pericolosità di questo cancerogeno è purtroppo molto, troppo, elevata. La gente fatica a riconoscerne il rischio e quindi ad agire per garantire la sicurezza propria e altrui. Come Osservatorio Nazionale Amianto abbiamo richiesto la concessione di un credito di imposta specifico, sia per i privati che per le imprese. Purtroppo, non ci sono stati interventi adeguati del Legislatore e delle varie istituzioni coinvolte».

Anche nel resto del mondo la situazione è tragica. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che 125 milioni di persone in tutto il mondo, e i dati sono tuttora in salita, siano esposte ogni anno all’amianto sul posto di lavoro. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro afferma che più di 107.000 lavoratori muoiono ogni anno a causa di una malattia correlata. L’uso dell’amianto per l’edilizia e la protezione antincendio è stato reso illegale in molti paesi. Come porre fine all’uso mondiale di tutti i tipi di amianto? 

«Mi duole confermare che il numero dei decessi censiti dalla OMS è sottostimato. Infatti, il dato ufficiale è relativo solo ai casi di mesotelioma, di tumore del polmone e di asbestosi. È necessario, quindi, tener conto di tutte le altre patologie asbesto correlate, non notoriamente conosciute, tra cui gli altri tumori delle vie respiratorie e del sistema gastrointestinale. Non tutti gli Stati effettuano specifici censimenti in merito alle malattie asbesto correlate e tale omissione comporta un’assenza di statistiche precise e aggiornate a livello mondiale. Nella sola Unione Europea, nel corso del 2019, sono stati censiti 70mila decessi per malattie asbesto correlate. Finalmente, seppur tardivamente, l’Europa ha dovuto fare i conti con la realtà che non ha più potuto nascondere. Per questo, il limite assurdo di 100 fibre/litro è stato oggetto di una revisione critica che tenesse conto del dato non solo epidemiologico, ma anche medico e biomedico, e del fatto che anche delle dosi di amianto, basse, anche enormemente basse, possano uccidere. Infatti, anche a distanza di 48 anni – questo è il tempo della latenza media del mesotelioma – può insorgere la malattia che purtroppo è quasi sempre mortale. Perciò, finalmente, con la più recente direttiva 2023/2668/UE, questo limite di soglia è stato abbattuto a 10 fibre/litro, per i siti lavorativi all’aperto e/o 0,2 fibre/litro per gli ambienti al chiuso. Si tratta di un primo passo verso l’applicazione del principio del “rischio zero”, ovvero di evitare qualsiasi forma di esposizione ad amianto, perché solo così è possibile tutelare la salute, e quindi l’art. 32 della Costituzione.  Mi preme ribadire che le istituzioni dovrebbero tener conto delle leggi scientifiche, oltreché del principio di precauzione, quindi di fronte a un cancerogeno, che uccide anche a bassissima dose, affermare delle soglie è oltremodo imprudente, se non contrario ai principi della Costituzione e della stessa normativa europea e degli stessi trattati. Per questi motivi, ho recentemente ribadito in un mio scritto la necessità di addivenire alla completa bonifica nei tempi più brevi: Esposizione amianto: la UE riduce i limiti di soglia. Si deve oltremodo ribadire che i limiti di soglia comunque debbono essere interpretati come di maggiore allarme, imponendo ulteriori oneri e adempimenti al datore di lavoro e non come liceità dell’esposizione ad amianto».

In base al rapporto del 2033 dell’US Geological Survey, il consumo globale di amianto è variato da 1,1 a 1,3 milioni di tonnellate l’anno. Esiste un piano per sostituire i materiali di amianto con materiali più sicuri?

«Certamente, ci sono già da tempo materiali sostitutivi dell’amianto. È sufficiente far riferimento alla martinite, disponibile già dall’inizio del secolo scorso. I materiali sostitutivi sono stati impiegati in Italia solo dopo l’entrata in vigore della L. 257/92. Purtroppo, solo i paesi dell’Unione Europea e pochi altri stati nel mondo hanno posto al bando l’amianto, che è ancora estratto ed utilizzato in Russia, Cina, India e molti altri stati industrializzati. È necessaria, quindi, la messa al bando globale dell’amianto».

Molti paesi vogliono aggiungere il crisotilo, che è la tipologia di amianto più diffuso, all’elenco delle sostanze pericolose della Convenzione di Rotterdam, sviluppato da un trattato delle Nazioni Unite. A che punto siamo? 

«Si è cercato di porre al bando il commercio dell’amianto. Tuttavia questo tentativo non è ancora andato a buon fine. Non esiste infatti una normativa internazionale vincolante che limiti la produzione e la commercializzazione di amianto. La Convenzione di Rotterdam, difatti, non riporta tra i materiali pericolosi l’amianto. Ciononostante, vi è un solo precedente specifico di una decisione in favore della Francia e contro il Canada, che lamentava il divieto di importazione dei materiali di amianto, emesso dalla stessa Francia. Tale problematica è stata evidenziata ne Il Giornale dell’Amianto, nell’articolo “Embargo contro i Paesi che continuano a utilizzare amianto” del 28 agosto 2017, poiché le pressioni e i veti della Russia avevano bloccato la risoluzione richiesta affinché l’Organizzazione Mondiale del Commercio introducesse il divieto d’importazione ed esportazione dei prodotti con amianto. Alla fine, la montagna ha partorito il topolino: ci si limita a delle mere raccomandazioni. La Russia ha interesse ad estrarre e commercializzare il crisotilo e giustifica questa condotta, negandone la lesività, che invece la IARC ha dichiarato con unanime consenso scientifico. Affermazione tanto fantasiosa, quanto colpevolmente falsa, anche alla luce del precedente giudizio che in ambito internazionale ha assolto la Francia dall’azione legale del Canada, ritenendo legittimo il divieto di commercio dell’amianto in Francia».

I paesi che esportano tossine non dovrebbero garantire che i paesi riceventi comprendano i rischi per la salute. Perché questo non accade?

«Innanzitutto, in alcuni casi è accaduto che in Italia fossero importati materiali con amianto e contenenti amianto. Mi riferisco ad alcuni prodotti provenienti in particolare dalla Cina, come bambole, thermos, ed altro con componenti in amianto. Nel 2016 abbiamo denunciato l’importazione di minerali di amianto dall’India. Questi Paesi, mi riferisco alla Russia, alla Cina, all’India e ad altri Stati, che non hanno bandito l’amianto, ritengono che utilizzando questi materiali fibrosi, altamente cancerogeni, ma molto economici, resistenti e ignifughi, possono massimizzare il profitto e il loro PIL, senza alcuna attenzione per la tutela dell’ambiente e della salute e senza censire i casi di malattia e di morte! In molti casi questo modo di fare di traduce anche in una concorrenza sleale in danno delle imprese italiane ed europee, che hanno maggiori costi dovuti al rispetto delle norme sulla sicurezza, sull’orario di lavoro [in Cina l’orario medio è di circa 12 ore al giorno], e soprattutto la salubrità dei materiali, almeno ora che l’amianto è stato messo al bando. Occorre, quindi, un rafforzamento dell’azione politica dell’Unione Europea sullo scacchiere internazionale per far valere il bando globale dell’amianto, anche se negli ultimi tempi anche il Canada e gli stessi Stati Uniti sembrano aver invertito la loro tendenza a permettere l’uso dell’amianto, ovvero ad assumere iniziative chimiche per la loro messa al bando».

Non solo il 20% dei lavoratori del settore edile manifatturiero sono maggiormente a rischio di sviluppare una malattia nel corso degli anni. Anche chi abita in uno dei molti edifici costruiti prima degli anni ’80 che contengono amianto può considerarsi a rischio? 

«Non sussiste una soglia minima al di sotto della quale il rischio amianto si annulla, per cui poiché in tutte le costruzioni edili antecedenti la legge 257/92 questi minerali sono stati utilizzati, è di tutta evidenza che, specialmente nelle ristrutturazioni, e comunque nei lavori edili, le esposizioni sono tutt’oggi sussistenti. Inoltre, negli stabilimenti industriali, nelle strutture, negli impianti e nei macchinari posti in opera prima dell’entrata in vigore della legge 257/92, sono stati utilizzati materiali di amianto e contenenti amianto. Si pensi alle coibentazioni, comprese quelle delle unità navali, sia della Marineria Civile che della Marina Militare, fino alle centrali elettriche, per non parlare delle scuole e degli ospedali. Come Presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, ho sempre insistiti affinché si desse corso alla bonifica, prima di tutto delle scuole e degli ospedali. Siamo ancora molto indietro. La mappa del rischio: 2.500 scuole (stima 2023), all’interno delle quali più di 352.000 alunni e 50.000 soggetti del personale docente e non docente sono esposti a tale cancerogeno. Ancora, 1.500 biblioteche ed edifici culturali (stima per difetto perché è ancora in corso di ultimazione da parte di ONA), compresi almeno 500 ospedali (stima per difetto perché la mappatura ONA è ancora in corso), hanno componenti in amianto nelle strutture e/o negli impianti tecnici, in particolare termici, elettrici e termoidraulici. Gli stessi acquedotti pubblici, compreso gli allacci, in tutto almeno 500.000 km di tubature sono in cemento-amianto».

Lei da anni è un pioniere della difesa delle vittime amianto, assiste i cittadini per la tutela dei diritti anche presso le magistrature superiori, quali i casi più emblematici che ha rappresentato o sta rappresentando?

«Nel gennaio 2000, fui colpito da un caso di un cancro raro di un lavoratore che alle soglie dei 40 anni è deceduto tra atroci sofferenze. Era un dipendente della Goodyear di Cisterna di Latina. Ho approfondito la tematica e ho preso atto di una strage silenziosa, che con il passare del tempo assumeva i contorni imprevisti e imprevedibili. Nel tempo, migliaia sono state le persone che ho assistito legalmente e che ho visto spegnersi come una candela che si consuma troppo presto. Intere famiglie sconvolte, prima dalla malattia e poi dalla morte di uno dei loro componenti, generalmente di sesso maschile. Molte volte, la persona era anche un lavoratore e l’unica fonte di reddito per la famiglia. Scarsa attenzione per la sicurezza, assenza di misure di prevenzione e protezione. Quella dell’amianto è una strage silenziosa e dimenticata. Come emerge anche dall’indagine epidemiologica che ho condotto, in quel periodo (gennaio 2000), i casi di mesotelioma del 1999 erano poco più di 700. Nel tempo, questo numero è cresciuto e ha superato i 2mila casi nel 2023. Si tratta della punta dell’iceberg, perché l’amianto provoca anche il tumore del polmone, quello della laringe e degli altri organi delle vie respiratorie e del tratto gastrointestinale. Nel 2023, a causa delle esposizioni ad amianto, sono decedute più di 7mila persone nella gran parte lavoratori e 10mila sono i nuovi malati. Questo è inaccettabile e inammissibile. Ho lottato e lotterò perché finalmente si giunga alla bonifica di tutti i siti contaminati, così superati i tempi di latenza, che purtroppo possono arrivare fino a 50 anni, verrà finalmente fermata questa stage. Come Osservatorio Nazionale Amianto intendiamo proseguire il nostro impegno anche sul tema della sorveglianza sanitaria e diagnosi precoce delle malattie asbesto correlate e la loro terapia. Per questo, sollecitiamo la ricerca scientifica. Allo stesso tempo, andiamo avanti con la mappatura e la tutela legale delle vittime e dei familiari. Abbiamo creato una rete in tutta Italia e anche in Europa e nel mondo, una multinazionale che si batte per la tutela della salute, contro i signori dell’amianto. Vinceremo la nostra battaglia».



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