[gtranslate] ALLE PRIMARIE USA TUTTI PUNTANO SUL GREEN NEW DEAL, MA AL MOMENTO MANCANO I SOLDI - WHAT-U

I senatori Bernie Sanders ed Elizabeth Warren ieri si sono abbracciati dopo il primo di due dibattiti per le primarie delle Elezioni del 2020 ospitati dalla CNN al Fox Theatre di Detroit. 
(Foto AP / Paul Sancya)

di Matthew Thompson

I democratici dovrebbero andare alla grande o diventare reali? Questa è la domanda che ha dominato il dibattito democratico delle primarie Usa ieri, quando i favoriti progressisti i senatori Elizabeth Warren e Bernie Sanders hanno respinto gli attacchi di moderati meno noti. Quali i punti chiave del dibattito?

Evolution vs rivoluzione

Il programma socioeconomico sul quale punta la sinistra del partito democratico ha un solo nome “Green New Deal“, un programma che ambisce a unire il focus sull’ambiente a quello sulla diseguaglianza, per rispondere tanto al populismo di destra di Donald Trump quanto alle ricette più tradizionalmente conservatrici del partito repubblicano, trainando con sé anche le correnti più moderate e restie dei democratici. Se ci riuscirà o meno, a unire i democratici e a sfidare Trump e i repubblicani in vista delle elezioni presidenziali del 2020, resta da dimostrare. Una cosa certa è che al momento il dibattito sul New Deal genera dura opposizione tra i repubblicani e nervosismo tra gli stessi democratici più legati all’establishment. Tra gli obiettivi primari da raggiungere c’è quello di una transizione degli Stati Uniti verso un utilizzo di fonti rinnovabili di energia al 100%, con emissioni-zero da effetto serra, da completare entro dieci anni. Questo comporterebbe ingenti investimenti pubblici, da veicoli elettrici a nuove reti ferroviarie ad alta velocità. Oltre ai costi da mettere in conto per misurare il costo sociale dell’anidride carbonica, ossia il prezzo pagato per l’impatto dell’emissione di ciascuna tonnellata extra di Co2, tutte spese per investimenti pro-ambiente che avrebbero l’effetto di creare milioni di posti di lavoro qualificati. Un piano all’apparenza perfetto che oltre a garantire grandi passi avanti e migliori prospettive di impiego nel mondo lavorativo, punta anche all’attuazione di progetti di “Medicare for all”, ossia di assistenza medica per tutti. Per molti però troppo irrealistico visto che per realizzarlo occorrerebbe mettere in conto cifre quantificabili in migliaia di miliardi. Su come reperire i fondi necessari per attuare un piano di così mastodontiche proporzioni si è già pensato all’opportunità di tassare i redditi più elevati, conteggiando un’aliquota massima di fatto raddoppiata al 70% per i redditi oltre i dieci milioni di dollari, un’ idea che piace a una forte maggioranza di elettori democratici – il 73% – ma anche al 47% degli indipendenti e al 39% persino dei repubblicani. Sul fronte ambiente tra le idee c’è quella di creare una rete elettrica più efficiente, senza sprechi e accessibile: in poche parole si punta alla nascita di una nuova “smart grid” che è un disegno che esiste da tempo. Al momento il governo investe circa 36 miliardi l’anno per aggiornare queste infrastrutture, ma i finanziamenti necessari per reinventare la distribuzione di elettricità secondo criteri moderni e innovativi avrebbero un peso di centinaia di miliardi di dollari nei prossimi cent’anni. Quello di rivoluzionare i trasporti e le loro infrastrutture, per ottenere emissioni-zero, è un progetto sul quale finora sono state investite molte aspettative. Ma il problema sono sempre i costi. Uno dei principali sogni di una nuova ferrovia ad alta velocità, in California tra San Francisco e Los Angeles, è stato appena ridimensionato dal neo-governatore progressista dello stato, Gavin Newsom, a causa della spesa considerata proibitiva. Anche sul fronte immobiliare si è accesa la lampadina del risparmio energetico. L’ex presidente Obama nel 2009 stanziò una tantum quasi 8 miliardi per ristrutturare palazzi federali e case popolari, generando risparmi, ma quei progetti si fermarono a esperimenti parziali. Argomento delle primarie è stato anche l’allevamento del bestiame su scala industriale, oramai è noto, genera gravi emissioni da effetto serra, in totale l’allevamento presenta un conto pari al 14,5% delle emissioni globali. Il bestiame rilascia metano attraverso i microorganismi che sono coinvolti nel processo di digestione animale, e protossido di azoto attraverso la decomposizione del letame. Recentemente il dottor Dario Caro e il professor Simone Bastianoni del gruppo di Ecodinamica dell’Università di Siena, in collaborazione con i professori Ken Caldeira (Stanford University) e Steven Davis (Università della California) hanno stimato le emissioni di gas serra dovute a 11 tipi di bestiame, relative a 237 nazioni e rilasciate nell’ultima metà del secolo trovando che globalmente dal 1961 al 2010, tali emissioni sono aumentate del 51%.

Il presidente degli Usa Donald Trump  
(AP Photo/Alex Brandon)

Un nuovo social compact 
Il Green New Deal prevede impieghi con salari in grado di mantenere una famiglia, benefit per assenza da malattia e per ragioni familiari, vacanze remunerate, garanzie di adeguate pensioni. Anche qui mancano ancora i soldi per raggiungere obiettivi e budget. Il Center for Budget and Policy Priorities, di sinistra, ha ad esempio calcolato che assicurare quasi dieci milioni di disoccupati e sotto-occupati costerebbe al governo federale in media circa 56mila dollari l’anno per impiego, incluse tasse e e benefit.

Ovviamente Trump non poteva esimersi dal dire la sua accusando i democratici di volere “eliminare aerei, auto, mucche, petrolio e gas, forze armate. Che idee brillanti!”. Meno provocatoriamente e più seriamente, invece il Wall Street Journal ha fatto una stima delle spese facendo notare che solo sostituire interamente le fonti non rinnovabili di energia costerebbe agli Usa all’incirca 2.900 miliardi – pari a un intero anno di entrate fiscali. Trump però che ci tiene a sottolineare che la salute degli americani sta a cuore pure a lui, ora pare stia lavorando a un piano che consentirebbe agli americani di importare farmaci a basso costo dal Canada, ha detto il segretario alla Salute e ai Servizi Umani Alex Azar. Un cavallo di battaglia importante per il presidente perché la riduzione dei prezzi dei farmaci è una delle sue massime priorità dellanuova battaglia politica. Alcuni esperti però si sono rivelati scettici nel consentire le importazioni dal Canada, in parte preoccupati dal fatto che i fornitori canadesi non avrebbero la reale capacità di soddisfare le richieste del mercato statunitense molto più ampio. L’AARP, un’organizzazione americana no-profit, che autorizza le persone (dai 50 anni in avanti) a scegliere come vivere invecchiando, ha detto invece di essere favorevole all’idea di Trump, perché importare in sicurezza farmaci meno costosi ed ugualmente efficaci promuoverebbe la concorrenza mondiale sui prezzi. Com’era prevedibile, in totale disaccordo invece la lobby dell’industria e della Ricerca farmaceutica americana, che in passato ha già bloccato con successo l’idea di puntare sull’importazione sostenendo che i pazienti potrebbero correre il rischio di ricevere farmaci contraffatti.



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