[gtranslate] Le competenze professionali nel mercato del lavoro italiano - WHAT-U

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L’Istat ha appena diffuso i principali risultati del modulo ad hoc sulle competenze professionali inserito nella Rilevazione sulle forze di lavoro condotta nel corso del 2022. Il modulo è stato compilato dalle persone di età compresa tra i 16 e i 74 anni, occupate o non occupate da meno di due anni, alle quali è stato chiesto di indicare il tempo dedicato a una serie di attività facendo riferimento alla situazione abituale nel lavoro principale. I quesiti hanno toccato vari argomenti: dalla quantità di tempo dedicato all’utilizzo di strumentazione digitale, alla lettura di documentazione tecnica o all’effettuazione di calcoli complessi, ad attività fisiche impegnative o che richiedono destrezza e precisione, alle relazioni comunicative e formative e ad alcuni aspetti che caratterizzano la modalità di conduzione del lavoro, quali il grado di autonomia, la ripetitività dei compiti e il rigore nelle procedure lavorative.

Quasi i due terzi degli occupati utilizza digital skill

Il 37,1% degli occupati svolge attività che richiedono l’utilizzo di apparecchiature digitali per almeno la metà del tempo di lavoro (nella media dei paesi Ue la percentuale è del 41,2%), mentre il 32,9% non utilizza mai tali apparecchiature (27,5 in media europea). Le percentuali più basse di utilizzo delle digital skill si riscontrano tra gli stranieri (7,8%) e le persone meno istruite (9,1%). A utilizzare maggiormente la strumentazione digitale per svolgere l’attività lavorativa sono gli occupati di 30-44 anni, mentre nella classe 15-29 anni si registra la percentuale più alta di coloro che non utilizzano affatto questa competenza (36,5%). Nel complesso degli occupati la percentuale di donne che utilizzano strumentazione digitale per almeno metà del tempo di lavoro è decisamente più alta rispetto a quella degli uomini (42,1 e 33,4%, rispettivamente). L’uso massiccio della strumentazione digitale – sia per operazioni basilari (come ad esempio spedire email, occuparsi dei canali social e della comunicazione) sia per attività più complesse basate sull’utilizzo di software o applicativi gestionali – caratterizza in particolar modo l’attività degli impiegati, che nell’80,9% dei casi dedicano almeno la metà del tempo lavorativo ad attività di tipo digitale, soprattutto se addetti alle funzioni di segreteria, ai movimenti di denaro o all’assistenza clienti. Tra gli impiegati le quote più elevate si riscontrano tra le donne (88,5%) e i laureati (89,1%) e un elevato utilizzo di competenze digitali si riscontra anche tra coloro che svolgono professioni intellettuali e scientifiche o tecniche: per entrambi, circa i due terzi dichiarano di utilizzare per la maggior parte della giornata lavorativa pc, tablet e smartphone. Tra le professioni intellettuali e scientifiche, la quota di quanti dedicano almeno la metà del tempo lavorativo ad attività di tipo digitale, è elevata per gli uomini (74,2%) e per i laureati (67,4%), sfiorando il 90% per gli specialisti in scienze matematiche, informatiche, chimiche, fisiche e naturali, per gli ingegneri e gli architetti. Tra le professioni tecniche, la quota supera l’80% per coloro che lavorano nell’organizzazione, nell’amministrazione e nelle attività finanziarie e commerciali.

Un occupato su cinque usa per più della metà del tempo di lavoro competenze cognitive

Le competenze cognitive di lettura e di calcolo mostrano in tutti i paesi dell’Ue una forte correlazione positiva tra la percentuale di occupati che dedicano più della metà del loro tempo lavorativo alla lettura di documenti e la percentuale di occupati che dedicano più della metà del loro tempo lavorativo allo svolgimento di calcoli complessi. L’uso frequente di tali competenze caratterizza il 19% degli occupati (19,7% in media europea). Differenze rilevanti per entrambe le variabili si riscontrano quando si analizzano i dati per livelli di istruzione e cittadinanza, mentre sono lievi se si considerano il sesso e l’età. Tra le persone con al massimo la licenza media le percentuali di coloro che dedicano almeno la metà del tempo alla lettura e al calcolo sono rispettivamente il 4,1 e il 3,4%, tra i laureati il 26,3 e il 16,2%; di contro quanti non dedicano alcuna parte del tempo a queste attività sono rispettivamente il 58,5 e il 71,6% per i titoli di studio più bassi e l’11,1 e il 37,6% per i laureati. Analizzando le competenze cognitive in relazione ai profili professionali emergono differenze rilevanti. In riferimento alle reading skill, la quota di chi le utilizza per almeno la metà del tempo lavorativo scende sotto il 5% tra gli artigiani e gli operai specializzati, tra i conduttori e gli operai semi-qualificati e tra coloro che svolgono professioni non qualificate nei servizi; la quota supera invece il 20%, tra i legislatori e gli imprenditori, tra chi svolge professioni specialistiche, tecniche o impiegatizie. La percentuale sale a circa il 30% tra i laureati occupati nelle professioni del I e II grande gruppo professionale, raggiungendo il 40% tra chi lavora nei corpi legislativi, nella dirigenza della pubblica amministrazione o tra gli ingegneri e gli architetti.

La lettura di manuali e documenti non rientra tra le attività lavorative per il 78,1% di chi svolge professioni non qualificate, quota che supera il 91% tra gli stranieri; la percentuale di chi non legge mai documenti nel proprio lavoro supera il 50% anche tra chi svolge una professione nel commercio e nei servizi, e tra i conduttori di veicoli e gli operai non specializzati (anche in questo caso con valori pari o superiori al 70% tra i lavoratori stranieri).

Se si considerano i grandi gruppi professionali, la quota di chi impiega almeno la metà del tempo lavorativo nel fare calcoli complessi sfiora il 20% solo tra gli impiegati, in particolare tra quelli in possesso di un titolo terziario (25,4%); se tuttavia si scende nel dettaglio dei gruppi professionali, le competenze di calcolo caratterizzano anche l’attività lavorativa di imprenditori, amministratori e direttori delle grandi aziende (23,2%), oltre a quella di ingegneri e architetti (38,8%). Ancora una volta, le competenze nel calcolo non caratterizzano l’attività dei lavoratori che svolgono professioni non qualificate, che nell’86,6% dei casi dichiarano di non dover mai ricorrere a calcoli complessi nello svolgimento delle proprie mansioni; anche tra i conduttori di veicoli per il trasporto delle persone e tra gli operai semi-specializzati la quota è molto elevata (73,0%). Tra le donne, tra le persone di oltre 60 anni e tra gli stranieri, occupati in questi ultimi due grandi gruppi professionali, l’assenza della competenza di calcolo riguarda una quota ancora più consistente.

L’uso frequente di forza e destrezza è più diffuso tra artigiani, operai specializzati e agricoltori

Le competenze fisico-motorie sono rilevate facendo riferimento all’intensità (forza) e alla precisione (destrezza). Il lavoro fisico impegnativo da un punto di vista della forza muscolare è una skill utilizzata per la metà o più del tempo dal 37,4% degli occupati (la media Ue si attesta al 26,5%). La destrezza, riferita all’abilità nel compiere movimenti precisi delle dita che coinvolgono gruppi muscolari piccoli come quelli dei polsi, delle mani o delle dita, generalmente coordinati dagli occhi, è invece utilizzata dal 23,2% (la media Ue si ferma al 16,8%). Le abilità fisico-motorie sono più frequenti tra gli uomini: il 41,6% impiega almeno la metà del tempo in lavori fisicamente impegnativi (le donne sono il 31,6%); quelli che svolgono lavori per cui è richiesta precisione delle dita sono il 25,3% (il 20,2% le donne). Ancora una volta, si riscontrano differenze legate ai livelli di istruzione e alla cittadinanza: il 57,6% delle persone con un livello di istruzione basso svolge lavori che richiedono un’attività fisica intensa per almeno la metà del tempo (sono il 16,7% tra quelle con titolo alto) e la quota si attesta al 45,6% tra gli stranieri (36,4% tra gli italiani). Nel caso della destrezza, coloro che hanno un titolo di studio basso e utilizzano questa competenza per almeno la metà del tempo sono il 30,0%, rispetto al 16,1% di quelli con titolo di studio alto. Tra gli stranieri coloro che impiegano almeno la metà del tempo in attività che richiedono abilità delle dita sono il 13,7%, tra gli italiani il 24,3%.

La percentuale di chi utilizza la forza fisica per almeno la metà del tempo lavorativo supera il 60% tra gli artigiani, gli operai specializzati, gli agricoltori e coloro che svolgono professioni non qualificate. La quota più elevata si registra tra gli artigiani, gli operai e gli agricoltori meno istruiti, con al massimo la licenza media (70,5%). Valori elevati si riscontrano anche tra i conduttori e gli operai semi-specializzati e tra coloro che lavorano nel commercio e nei servizi, come per esempio commessi e camerieri che trascorrono spesso gran parte della loro giornata lavorativa in piedi o tra coloro che svolgono professioni qualificate nei servizi sanitari, che prevedono frequentemente il sollevamento e lo spostamento di pazienti non autosufficienti.

Nonostante le professioni più qualificate non si caratterizzino per l’uso della forza, tra gli imprenditori di piccole aziende e tra le professioni tecniche nelle scienze della salute e della vita la quota di chi dichiara di svolgere un lavoro manuale per almeno la metà della propria giornata lavorativa arriva al 40%.

La destrezza è un’abilità che mostra importanti differenze tra i grandi gruppi professionali. Un valore quasi doppio della media (45,1% contro 23,2%) caratterizza artigiani, operai specializzati e agricoltori, in particolare nella componente femminile dove la quota raggiunge il 51,4%. Scendendo più nel dettaglio, la quota di chi usa spesso la competenza della destrezza aumenta tra gli artigiani e gli operai specializzati della meccanica di precisione, dell’artigianato artistico, della stampa (il 59,4% compie movimenti precisi delle dita per tutta o gran parte della giornata lavorativa) insieme agli artigiani e agli operai specializzati delle lavorazioni alimentari, del legno, del tessile, dell’abbigliamento, delle pelli, del cuoio e dell’industria dello spettacolo (51,6%). Ciò nondimeno, l’abilità delle dita è una skill ampiamente diffusa anche tra i lavoratori nel campo della salute: dagli specialisti del II grande gruppo (37,2% tra chirurghi, dentisti, ortodontisti, laboratoristi, patologi clinici e simili), ai tecnici del III grande gruppo (39,9% tra igienisti, fisioterapisti, osteopati, ortottisti, ostetrici e simili), fino a coloro che svolgono professioni qualificate nei servizi sanitari e sociali del V grande gruppo (34,4% tra massaggiatori, massofisioterapisti, operatori sociosanitari, assistenti alla poltrona e simili). La destrezza, invece, è una competenza non utilizzata tra coloro che svolgono un lavoro esecutivo di ufficio: durante la loro giornata lavorativa tre impiegati su quattro non svolgono mai compiti che richiedono movimenti precisi delle dita.

Chi ha un titolo di studio elevato utilizza più spesso le competenze relazionali

Le competenze relazionali, riferite al tempo dedicato alla comunicazione, formazione e consulenza, considerano tutte le forme di interazione nelle relazioni di lavoro, sia con personale interno sia con personale esterno all’azienda o ente di appartenenza. Gli occupati che dedicano almeno la metà del tempo a queste attività sono il 47,9%, la media nei paesi Ue e del 43,6%. Per quanto riguarda le interazioni verbali con persone della stessa organizzazione, circa il 36% degli occupati utilizza questa competenza per la maggior parte del tempo di lavoro, quasi la metà ha un livello di utilizzo basso e solo il 12% non la utilizza affatto. Le comunicazioni con persone esterne sono, in generale, meno diffuse di quelle con colleghi o superiori del proprio ufficio: sul totale degli occupati, la quota di chi ha scambi verbali frequenti con persone esterne è del 28,6% e quella di chi non le ha mai del 24,0%.Gli occupati più impegnati in attività che implicano la comunicazione interna ed esterna sono quelli con titoli di studio più elevati (laurea e oltre): il 45,1% occupa almeno la metà del tempo in attività per cui è richiesta la comunicazione con i colleghi, il 37,1% in comunicazioni verso l’esterno.

Le competenze relazionali sono meno diffuse tra gli stranieri e tra le persone con basso livello di istruzione. Gli stranieri che impiegano almeno la metà del tempo in comunicazioni interne ed esterne alla loro realtà lavorativa sono rispettivamente il 14,7 e il 12,5%; tra le persone con basso titolo di studio le percentuali sono il 26,1 e il 20,3%. Sia i lavoratori più qualificati, che svolgono professioni intellettuali e di coordinamento, sia quelli meno qualificati, occupati in lavori più manuali e routinari, trascorrono almeno una parte della propria giornata lavorativa a interagire verbalmente con altre persone faccia a faccia, per telefono o per video chat (Figura 4). Una comunicazione verbale interna molto assidua, vicina al 60%, connota i lavoratori del I grande gruppo: quasi sei lavoratori su 10 dichiarano di trascorrere tutto o la maggior parte del tempo di lavoro a interagire verbalmente con persone della propria organizzazione; la quota è più elevata tra i laureati (66,9%) e supera il 70% tra i ruoli manageriali, ovvero imprenditori, amministratori e direttori di grandi aziende.

Percentuali di tempo molto elevate – oltre il 40% – si riscontrano anche tra i lavoratori del II, III e IV grande gruppo – specialmente nella fascia di età tra i 35 e i 44 anni e nella componente più istruita – con picchi intorno al 50% tra gli specialisti in scienze matematiche, informatiche, chimiche, fisiche e naturali, tra gli ingegneri e gli architetti e tra gli impiegati addetti alle funzioni di segreteria. Tra i lavoratori che svolgono le professioni afferenti al V, VI e VII grande gruppo, le comunicazioni verbali con membri della propria organizzazione sono presenti ma, nella maggior parte dei casi, avvengono per una parte limitata della giornata lavorativa. Tra questi lavoratori, inoltre, si amplia – rispetto a quelli dei primi quattro grandi gruppi – la quota di chi dichiara di non avere mai interazioni verbali con persone della stessa organizzazione nel corso della giornata (il 16,2% tra chi si occupa di commercio e servizi, il 17,7% tra gli artigiani, operai specializzati e agricoltori e l’11,6% tra i conduttori e operai semi-specializzati), con picchi intorno al 30% per la componente straniera. Tra i lavoratori non qualificati dell’VIII grande gruppo è più bassa la quota di coloro che dichiarano di comunicare frequentemente con colleghi e persone della propria organizzazione (18,5%) e più alta quella di chi riferisce di non farlo mai (23,8%, con valori superiori al 30% per le donne e gli stranieri e con un picco del 45,9% tra coloro che svolgono attività domestiche come colf, cuochi o addetti allo stiro).

A prescindere dal tipo di attività svolta, le interazioni verbali con persone esterne sono meno frequenti di quelle con colleghi o superiori del proprio ufficio. Come per la comunicazione interna, anche la comunicazione verbale con persone esterne caratterizza in maniera frequente la giornata lavorativa degli occupati del I grande gruppo (46,6%), in particolare di imprenditori e responsabili di grandi, medie e piccole aziende; la professione dell’imprenditore non può infatti prescindere da questo tipo di skill per poter instaurare relazioni efficaci con partner o fornitori e potenziali clienti e portare avanti trattative strategiche e commerciali.

Oltre ai professionisti del I grande gruppo, una comunicazione frequente con l’esterno caratterizza anche i professionisti del II grande gruppo (in media il 39,4%, soprattutto se donne e ultra 60enni), in particolare gli specialisti delle scienze della vita (50,1%) e della salute (47,9%), nonché gli specialisti della formazione e della ricerca (39,5%). Il lavoro di medici e docenti, infatti, è ampiamente connotato dallo scambio comunicativo con pazienti e discenti. Di contro, oltre la metà dei lavoratori impiegati come conduttori di veicoli, operai semi-specializzati o in professioni non qualificate dichiara di non parlare mai nel corso della giornata di lavoro con persone esterne alla propria impresa od organizzazione, con picchi che superano il 60% tra gli stranieri e tra le donne. Nella maggior parte dei casi, infatti, queste professioni poco qualificate non richiedono ai lavoratori contatti verbali diretti con individui esterni all’organizzazione in cui sono inseriti, quali utenti, clienti o fornitori. Fra le professioni impiegatizie, gli occupati che hanno comunicazioni con l’esterno per oltre la metà del loro tempo sono circa il 30%, e la quota sale al 34,0% tra i laureati. Oltre alle competenze comunicative, nell’area delle abilità relazionali ricade anche la competenza di istruire, formare e fornire consulenza (sia formalmente sia informalmente). Si tratta di un’attività svolta, nel complesso, da oltre la metà degli occupati ma soltanto il 17,4% la pratica in maniera frequente nel corso del proprio tempo di lavoro; il 43,6% non la pratica mai.

L’autonomia nel lavoro aumenta al crescere dell’età

Le due dimensioni dell’autonomia rilevate dal modulo ad hoc – una relativa alla sequenza in cui vengono svolti i compiti e l’altra riguardante la libertà nella definizione dei contenuti – appaiono molto associate l’una all’altra, sebbene la prima sia generalmente più diffusa. Il 44,7% degli occupati ha ampia possibilità di influenzare l’ordine dei compiti che svolge nell’ambito della propria attività lavorativa, il 38,8% ha ampia possibilità di influenzarne i contenuti. Le due componenti dell’autonomia crescono all’aumentare dell’età: per cui hanno molta autonomia nel decidere l’ordine dei compiti il 28,9% delle persone di 15-29 anni e nella definizione dei contenuti il 24,7%, con un balzo rispettivamente al 43,7 e al 37,4% per la classe di età 30-44 anni, sono poi il 48,0% e il 41,6% per chi ha 45-59 anni, infine, il 54,2% e il 49,1% per le persone con 60 anni e oltre.

Prevedibilmente l’autonomia è maggiore anche in corrispondenza di titoli di studio più alti: il 56,2% dei laureati è molto autonomo nel definire l’ordine delle attività (rispetto al 34,7% di chi ha al più la licenza media e al 44,7% degli occupati) e il 49,5% lo è nel decidere i contenuti del proprio lavoro (il 30,7% tra i meno istruiti e il 38,8% tra gli occupati). Anche per la dimensione dell’autonomia gli stranieri hanno il record negativo e le percentuali per le due componenti sono rispettivamente del 21,8 e del 18,3%. Tra uomini e donne non si rinvengono differenze di rilievo.

In relazione alla professione svolta, una forte autonomia nell’organizzare i tempi e l’ordine delle proprie attività lavorative caratterizza i legislatori, i dirigenti e gli imprenditori (77,1%), più per gli uomini (79,3%) che per le donne (70,3%). Un’autonomia organizzativa ampia nel definire l’ordine delle attività connota anche circa due lavoratori su tre nelle professioni intellettuali e scientifiche, in particolare gli specialisti in scienze umane, sociali, artistiche e gestionali, e oltre il 55% dei lavoratori occupati in professioni tecniche, con un picco per i tecnici nell’organizzazione, amministrazione e nelle attività finanziarie e commerciali (62,6%).

I lavoratori con margini di autonomia più limitati riguardo l’ordine dei propri compiti lavorativi sono soprattutto i conduttori e gli operai semi-specializzati, tra i quali la quota di coloro che non hanno alcuna autonomia ammonta al 31%, con quote che sfiorano il 40% tra la componente più giovane (16-29 anni) e tra gli stranieri; la percentuale supera il 37% anche tra i conduttori di impianti industriali. Seguono i lavoratori delle professioni non qualificate, tra i quali oltre un quarto dichiara di non aver alcuna autonomia organizzativa nel decidere l’ordine dei compiti, specialmente tra la componente meno istruita, più giovane e straniera.

Anche con riferimento al livello di autonomia nella gestione dei contenuti lavorativi, una quota molto elevata, superiore al 70%, si riscontra tra i legislatori, dirigenti e imprenditori di grandi e, soprattutto, di piccole aziende, maggiormente nella componente maschile (75,6%) e nella fascia di età 45-59 anni (75,9%). Un’ampia autonomia nei contenuti del proprio lavoro si rileva anche tra i lavoratori delle professioni intellettuali (56,6%) in particolare tra le persone di più di 60 anni (65,6%) e, scendendo nel dettaglio delle professioni, soprattutto tra gli specialisti in scienze umane, sociali, artistiche e gestionali (59,2%) e tra gli specialisti della formazione e della ricerca (57,5%).

Solo un terzo circa degli impiegati, degli addetti al commercio e servizi e degli artigiani e operai specializzati dichiara di avere ampi margini di autonomia nella gestione dei contenuti della propria attività lavorativa, mentre la quota si riduce notevolmente (circa un lavoratore su cinque) tra i conduttori e gli operai semi-specializzati e tra i lavoratori non qualificati, con percentuali ancora più basse tra i giovani e gli stranieri. Queste ultime professioni sono anche caratterizzate da quote piuttosto elevate di lavoratori che non possono minimamente influenzare i contenuti del proprio lavoro (35,8 e 31,3% rispettivamente, a fronte di un dato medio pari al 16,1%), con picchi che riguardano la componente straniera (47,7%) e più giovane (46,0%) dei conduttori e operai semi-specializzati.

Conduzione del lavoro: ripetitività e rispetto delle procedure

Tra gli aspetti che riguardano le modalità di conduzione del lavoro il modulo ad hoc indaga in particolare la ripetitività dei compiti e la frequenza di attività che richiedono l’aderenza a procedure. I compiti ripetitivi si riferiscono ai cicli lavorativi ripetuti, quelli cioè caratterizzati dalla replicazione delle stesse azioni; le procedure rigorose identificano, invece, le fasi del lavoro codificate e standardizzate, che richiedono una precisa sequenza delle operazioni da seguire, con tempi e metodi prestabiliti nelle fasi di preparazione, esecuzione, conclusione e comunicazione degli esiti. Il 44,2% delle persone occupate dichiara di svolgere compiti ripetitivi per la metà o più del tempo di lavoro (48,8% in media europea). Le attività ripetitive caratterizzano maggiormente le persone meno istruite (53,5 contro 30,8% delle persone con la laurea e oltre) e gli stranieri (47,0% contro 43,8% degli italiani). Anche per le donne si registrano percentuali più alte di coloro che per la metà del tempo o più svolgono lavori ripetitivi (47,1%, rispetto al 42,1 degli uomini).

Le competenze degli ex-occupati

Tra gli ex-occupati, la percentuale di coloro che non hanno mai utilizzato competenze digitali nell’attività lavorativa è di oltre 20 punti più elevata rispetto a quella degli occupati (circa il 55% contro il 33%;
 Prospetto 2). Anche nel caso dei non occupati sono le persone con istruzione terziaria ad aver utilizzato maggiormente questa competenza (43,4%); anche in questo caso lo scarto con gli occupati è comunque di oltre 20 punti percentuali. Come per gli occupati, gli stranieri sono quelli che le hanno utilizzate di meno (non le ha utilizzate l’82,4% rispetto al 73,9% degli occupati).



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