TRUMP: "QUESTA STORIA È SOLO UNA BUFALA" - WHAT-U

Il presidente della Camera Nancy Pelosi assieme al presidente della commissione per i servizi segreti Adam Schiff, D-California, parla durante una conferenza stampa a Capitol Hill a Washington, mercoledì 2 ottobre 2019 (AP Photo / Susan Walsh)

di Colin Anthony Groves

Ieri Donald Trump poco dopo avere saputo che i democratici della Camera avevano chiesto la documentazione relativa alla sua telefonata con il presidente ucraino è andato su tutte le furie.

Niente di nuovo per Donald Trump, che in questi giorni messo sotto attacco dai democratici, e accusato di “incitamento alla violenza” contro l’informatore della sicurezza nazionale, la famosa talpa, che ha rivelato quello che si sono detti Trump e il presidente ucraino Volodymyr Oleksandrovyč Zelens’kyj durante l’oramai famosa telefonata di luglio nel corso della quale la colpa del tycoon sarebbe quella di avere insistito per fare aprire un’inchiesta sul rivale politico democratico Joe Biden e la sua famiglia, continua a dire che è tutta una bufala. 

I democratici sostengono che la pressione su Zelens’kyj , da sola, costituisce un abuso di potere punibile con l’impeachment.

Ieri Trump nell’ufficio ovale durante una conferenza stampa congiunta con il presidente della Finlandia, Sauli Niinistö, a gran voce ha definito la sua “telefonata perfetta “senza ombre”, senza alcun fosco retroscena. Trump ha poi aggiunto che “senza prove, il presidente del comitato di intelligence della Camera, Adam Schiff, potrebbe aver commesso tradimento”.”Riteniamo che questo sia un momento molto triste” per il popolo americano e il paese, ha affermato Pelosi. “L’impeachment del presidente non rende certo gioiosi”. Schiff a differenza di Trump, non ha mai alzato la voce e senza rispondere alla sua accusa ha detto: “Non stiamo scherzando qui”. Pelosi, in un’intervista di “Good Morning America”, ​​che andrà in onda oggi, ha detto che Trump è “spaventato” dall’indagine sull’impeachment e delle prove che potrebbero essere trovate contro di lui.

Ora i democratici oltre all’accusa di pressioni nei confronti del presidente lamentano anche un’eccessiva lentezza nella consegna dei documenti e delle testimonianze della Casa Bianca che vogliono fare pesare sul caso di impeachment aperto nei confronti di Trump.

Una storia dicono che si ripete e che riporta la mente quanto è accaduto i mesi passati quando erano in corso verifiche sui rapporti commerciali di Trump con la Russia concluse con un niente di fatto con la consegna, seppur dopo due anni dall’inizio delle indagini , del rapporto del consigliere speciale Robert Mueller.

Alla nuova spy story ora si sono aggiunti altri due personaggi, un ex funzionario del Dipartimento di Stato, Kurt Volker, ex inviato speciale in Ucraina, che dice di essere desideroso di raccontare “la sua versione dei fatti” e che oggi verrà ascoltato in un’udienza a porte chiuse dagli investigatori della Camera e l’ambasciatrice americana estromessa dall’Ucraina, Maria “Masha” Yovanovitch, che invece verrà sentita in udienza a porte chiuse, la prossima settimana.

Trump i giorni scorsi ha twittato che vuole “scoprire” l’informatore e interrogarlo, sebbene l’identità della persona sia protetta dall’Information Protection Act. E dopo che Trump ha lanciato l’accusa nei confronti di Schiff di avere “probabilmente contribuito a scrivere” la denuncia del whistleblower, il portavoce di Schiff ha voluto precisare che non ci è mai stato alcun incontro, nonostante l’informatore avesse contattato il comitato di intelligence prima di presentare il reclamo formale. Un’informazione che ha fatto andare su tutte le furie anche anche Devin Nunes, un membro della Camera del partito Repubblicano, che scritto su Twitter: “Oggi apprendiamo dalla stampa che Chm Schiff era venuto a conoscenza precedentemente e quindi aveva avuto un coinvolgimento nel reclamo del WB. Non ha fatto sapere queste informazioni al popolo americano e persino al comitato dell’Intelligence. Alla luce di questa notizia, è difficile vedere l’impeachment come qualcosa di diverso da una farsa orchestrata”.

A gettare ulteriori ombre su questa faccenda un’altra confessione della talpa che ha rivelato che la Casa Bianca aveva cercato di “bloccare” la telefonata del 25 luglio di Trump con il presidente ucraino preoccupata del fatto che poi il contenuto potesse essere divulgato al pubblico come poi ha fatto il direttore ad interim dell’intelligence nazionale. Oltre alla notizia, scritta da Ap, secondo la quale pare ci sia stato un tentativo, ad oggi per noi solo presunto, di limitare le informazioni sulle chiamate di Trump con altri leader stranieri, tra cui il russo Vladimir Putin e l’Arabia Saudita Mohammed bin Salman, spostando le conversazioni su un altro canale.

Quando a Trump un gruppo di cronisti ha chiesto se avrebbe collaborato con la Camera per produrre documenti richiesti sull’Ucraina, non ha risposto né si né no, ma ha solo detto: “Beh, io collaboro sempre”. poi mostrando la grinta di sempre, ha accusato i democratici di inventare bufale e di non lavorare, come fa lui per il bene dell’America. Il segretario di Stato Pompeo e Rudolph Giuliani, due tra i più stretti collaboratori del presidente americano, diventati testimoni di fatto, loro malgrado, nell’indagine sull’impeachment della Camera è intuibile che non diranno mai qualcosa contro Trump. Pompeo lo ha già detto che non si farà coinvolgere in questo gioco al massacro, pur ammettendo la sua presenza accanto a Trump il giorno della famosa telefonata.

Il segretario stampa della Casa Bianca Stephanie Grisham ha dichiarato che “la citazione in giudizio e la richiesta di consegna dei documenti, è solo tempo e dollari sprecati dei contribuenti che alla fine capiranno che il loro presidente non ha fatto nulla di male”. Putin dalla Russia ha fatto sapere che a suo avviso il controllo delle telefonate di Trump è la prova che gli avversari stanno usando “ogni scusa” per attaccarlo. E la figlia Ivanka ha pubblicato un tweet in supporto del padre elencando tutti i lodevoli obiettivi da lui raggiunti “to make America great again”.

Ora Trump chiede l’aiuto della Cina per incastrare Biden

“Non l’ho ancora fatto, ma chiaramente e’ qualcosa cui dovremmo cominciare a pensare”, questa la risposta di Donald Trump a un cronista che gli chiedeva se fosse sua intenzione chiedere aiuto al presidente cinese per “allargare il raggio di azione” delle indagini su Biden, dopo la rivelazione della Nbc che in pratica ha fatto venire a galla il fatto che nel 2013, durante un viaggio dell’allora vicepresidente Joe Biden in Cina, suo figlio Hunter, che lo accompagnava ufficialmente come membro della famiglia, in quell’occasione incontrò un banchiere cinese Jonathan Li, che poi divenne suo partner di affari in un fondo di private equity cinese che stava creando proprio in quel momento. La licenza che autorizzò la nascita di quel fondo fu rilasciata dalle autorità di Shangai dieci giorni dopo quel viaggio. Ora nonostante il figlio di Biden respinga ogni addebito Trump ora pare voglia andare fino in fondo a questa vicenda.



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